Milano - La sintesi dell’accusa era racchiusa in un breve passaggio della lunga requisitoria del pm Grazia Pradella. In quella sala operatoria, alla clinca Santa Rita, c’erano medici «malvagi» e «senza umanità», privi di scrupoli anche di fronte ad «anziani in condizioni ormai compromesse», e con un unico chiodo fisso. «Massimizzare il profitto». E ora, a quegli stessi medici, viene presentato il conto. A più di due anni dagli arresti, infatti, arriva la sentenza dei giudici della quarta sezione penale del Tribunale. Ed è una sassata. Pier Paolo Brega Massone, il primario di chirurgia toracica nella casa di cura, viene condannato a 15 anni e mezzo d carcere, contro i 21 richiesti dalla Procura.
Un’attesa snervante. Per i pubblici ministeri, gli avvocati, le parti civili presenti, per i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria che hanno condotto le indagini e che ieri erano presenti in aula. E logorante, di certo, anche l’attesa gli imputati. La lettura del dispositivo, prevista per le 8 di ieri sera dopo tre giorni di camera di consiglio, è slittata a notte. Poi, quarantacinque minuti dopo le 23, il verdetto. Che chiude una delle pagine più atroci della sanità milanese. Ottantre i casi di lesioni contestate dalla Procura: tubercolosi curate con l’asportazione del polmone, resezioni abusive, interventi invasivi anche quando le patologie tumorali erano benigne e sarebbero bastati esami istologici o biopsie. Come nel caso di una ragazza di soli 18 anni, a cui Brega asportò parte del seno. Nei confronti del primario e dei suoi collaboratori Presicci e Pansera, i pm hanno chiesto che venisse contestata anche l’aggravante della crudeltà. Perché a reggere era «la raggelante equazione tra pezzi anatomici dei pazienti asportati e drg», ovvero i codici con cui la Santa Rita otteneva - come clinica convenzionata - i rimborsi dalla Regione. E più erano gli interventi, maggiori i rimborsi pubblici. E, a cascata, i premi ai medici. Così venivano rimpolpate le buste paga che, da 1.700 euro al mese potevano lievitare fino a 27 mila euro, «in totale mancanza di ogni considerazione per il paziente e per la sua sofferenza», ha più volte sottolineato l’accusa. I pubblici ministeri hanno descritto in questo modo gli imputati. «Non hanno la coscienza di un comune medico - dicevano durante la requisitoria - quelle persone che non esitano a infliggere sofferenza tramite interventi chirurgici inutili a malati terminali e a pazienti totalmente incapaci solo per ottenere vantaggi professionali ed economici». Niente di meno. E qualche parola in più per Brega, imputato per lesioni gravissime, falso ideologico e truffa ai danni del servizio sanitario nazionale. «È un soggetto con un’indole particolarmente malvagia e a cui manca il senso di umana pietà».
Lui, Brega, che in una telefonata intercettata dai finanzieri si definiva «l’Arsenio Lupin» della chirurgia, si è sempre difeso affermando di aver operato «in buona fede», e che per questo avrebbe rifatto tutto.
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