Roma - Denunce, accuse, convocazioni di piazza, toni calmi e risoluti, pathos e provocazioni. È un rito rassicurante e ripetitivo che scandisce il passare degli anni, quello della conferenza stampa in cui Michele Santoro - Sandro Ruotolo alla sua destra, Marco Travaglio alla sua sinistra - indossa la veste del martire televisivo e lancia l’allarme democratico sullo stato dell’informazione in Italia. Un’operazione di marketing ripetuta periodicamente per ricordare a tutti che, nello sterminato universo dell’informazione antiberlusconiana, c’è un capostipite - e un detentore di un prezioso copyright - che è sempre e comunque nel mirino.
Gli ingredienti sono quelli di sempre: scenari a tinte fosche, prefigurazioni di future epurazioni, la fotografia mostrata alla libera stampa di un «regime» ormai prossimo a palesarsi. E poco importa che questo regime gli appalti da qualche decennio una trasmissione di prima serata. Questa volta, poi, c’è un ulteriore elemento che viene recuperato dal repertorio del passato: quello del girotondo di piazza. Uno strumento politico-mediatico battezzato nel 2002 e utilizzato fino a consunzione dai vari Marina Astrologo, Daria Colombo, Pancho Pardi, e ora riesumato come una sorta di scudo da opporre contro il presunto tentativo di bloccare il Rubygate.
L’annuncio viene dettato nella sede della Federazione nazionale della stampa. «Michele Santoro, Barbara Spinelli e Marco Travaglio hanno deciso di lanciare un appello. Il 13 febbraio (quando il popolo del Pdl manifesterà a Milano contro la giustizia politicizzata, ndr) senza bandiera e simboli dei partiti saremo davanti al tribunale di Milano per manifestare in difesa del lavoro della magistratura e dei valori di indipendenza e autonomia che sono fondanti nella nostra Costituzione». Il motivo di questo cambio d’abito in corsa di Santoro e Travaglio - non più giornalisti ma animatori politici - è lo scontro frontale con Mauro Masi, all’indomani della telefonata in diretta con la quale il direttore generale ha invitato al rispetto del codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione delle vicende giudiziarie. Un monito che non è andato giù al creatore di Samarcanda.
«In questo Paese c’è una cabina di comando che decide tutto in funzione degli umori del premier, e noi non possiamo dipendere dai suoi umori» attacca Santoro. «A questo punto facciano venire Sgarbi, come Masi chiede da tempo, facciano venire 60 ragazzi vestiti con il tricolore e facciamo un Bunga bunga pure da noi». «Quella del premier che chiede la chiusura di una trasmissione come la nostra è una incredibile invasione di campo. La gravità della situazione è data dal fatto che chi cerca di fare il proprio mestiere, che sia quello del magistrato o del giornalista, viene subito identificato come nemico e posto sotto attacco per annientarne il lavoro. Eppure è la nostra quinta performance per ascolti. Togliere una trasmissione come Annozero significherebbe fare un grande regalo alla concorrenza».
Il «conduttore unico delle coscienze» si conferma maestro nella gestione della tensione comunicativa. E questa volta - una novità nella fenomenologia del ventennio santoriano - lancia anche un allarme sulle possibili violenze private di cui potrebbe restare vittima. «Voglio dirlo chiaramente ed è bene che queste parole restino agli atti: aizzare è molto pericoloso. Noi facciamo una vita normale, giriamo in auto, prendiamo treni, aerei, non abbiamo come il premier e i politici le auto pubbliche da usare come taxi». La chiosa finale è dettata da Marco Travaglio che prima usa i consueti toni soavi, prendendosela con «l’incapacità e la cialtroneria di una manica di servi che si sputtanano in diretta tv».
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