Sarà impiccato il killer della diva libanese

Nessuna attenuante. Hisham Talaat Moustafa, uomo d’affari, amico del figlio del presidente Mubarak, Gamal, è stato condannato a morte ieri da una corte egiziana. Il suo crimine: aver commissionato l’omicidio di Suzanne Tamim, giovane cantante libanese trovata senza vita in un appartamento di lusso dell’Emirato di Dubai nel luglio del 2008. Un efferato delitto eseguito su commissione da una guardia del corpo di Moustafa, Mohsen Al Sokkary, che ha poi denunciato il proprio datore di lavoro e confessato di aver ricevuto 2 milioni di dollari per l’omicidio. Finisce così un giallo a tinte fosche degno delle più truculente fiction televisive a base di potere, denaro, politica, bellezza, violenza e morte.
La Tamim era famosa più per la sua tormentata vita sentimentale che per il suo talento: poco più che trentenne, alle spalle già due matrimoni con altrettanti ricchi business men, brillava per le sue storie d’amore lampo, vere o costruite ad arte per farsi pubblicità, sempre vissute sotto i riflettori. Fra le sue ultime conquiste sentimentali l’uomo che ordinerà il suo omicidio, il tycoon egiziano Talaat Moustafa, deputato in Parlamento, amico intimo della famiglia «reale» egiziana, i Mubarak, con cui intratteneva forti legami economici. Moustafa era il proprietario di una holding dell’edilizia quotata in Borsa, le cui azioni sono bruscamente crollate dall’autunno scorso.
I due protagonisti della vicenda si erano conosciuti quando Suzanne si era trasferita al Cairo dopo il divorzio dal secondo marito, un produttore musicale. Secondo i familiari della cantante, quando ancora Suzanne e Moustafa si frequentavano - e lei viveva fra il Cairo e Dubai, negli attici di proprietà di lui - l’uomo d’affari le aveva offerto 50 milioni di dollari pur di convincerla a sposarlo. Suzanne aveva non solo respinto l’offerta, ma anche liquidato l’amante per un uomo più giovane e aitante, Riyad El Azzawi, campione di kick boxing di origine irachena. El Azzawi è poi diventato il terzo marito di Suzanne nei primi mesi del 2008 - ma questo terzo matrimonio è rimasto segreto - mentre il legame con Hisham Moustafa sarebbe terminato almeno un anno prima, fra liti furibonde e minacce di morte.
La vendetta ideata e ottenuta da Moustafa è degna di un thriller: la vittima è stata sfregiata e accoltellata ferocemente dall’assassino, che l’ha poi decapitata. Al ritrovamento del corpo in una delle torri più lussuose di Dubai ha fatto seguito un’indagine accurata da parte delle autorità locali. Le ricerche hanno portato rapidamente all’individuazione del responsabile materiale, la body guard Al Sokkary - anche lui condannato a morte -, e alla sua piena confessione. Sotto processo è finito un «ricco e cattivo» considerato intoccabile per i suoi legami di potere. Dopo le prime fasi del processo, riportate con dovizia di particolari dalla stampa, i giudici hanno deciso di procedere a porte chiuse.

Segnali che lasciavano presagire un atteggiamento ossequioso nei confronti di Talaat Moustafa, chiamato dall’avvocato dell’accusa «eccellenza» (in arabo, basha) e fotografato con una sigaretta in bocca in aula, un permesso speciale accordatogli dal giudice. Privilegi che però non gli hanno risparmiato la pena di morte. Ora gli resta l’appello.

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