Tra Sarkozy e Medvedev un fragile accordo sul ritiro dalla Georgia

I soldati russi a casa entro il 15 ottobre. Il presidente francese: «Pesanti conseguenze se il patto non sarà rispettato»

Alla conferenza stampa tenuta dopo l’incontro di ieri tra il presidente russo Dmitri Medvedev e la «troika europea» che comprendeva anche il «ministro degli Esteri» dell’Ue Javier Solana e il «capo del governo» José Manuel Barroso, il capo-delegazione Nicolas Sarkozy ha sottolineato l’importanza di quanto ottenuto: la promessa russa di ritirare i propri soldati dal territorio della Georgia - tranne che da Abkhazia e Ossezia del Sud – entro un mese, al momento dell’arrivo della forza di pace civile europea annunciata venerdì al vertice di Avignone. Ma poi, al termine dell’incontro a Tbilisi con il suo omologo georgiano, Mikheil Saakashvili, lo stesso Sarkozy ha lanciato un duro altolà: «Se le forze russe non si ritireranno dalla Georgia entro il 15 ottobre l’Unione europea trarrà le conseguenze».
Un ammonimento preciso, quello del presidente francese: «Il 15 ottobre – ha detto Sarkozy – non ci dovrà essere un solo militare russo su posizioni nelle quali si trovava prima del 7 agosto. Se non sarà così entro cinque giorni l’Europa trarrà le conseguenze». Saakashvili si è detto ottimista: «Credo sia un passo avanti», ha dichiarato. Ma ha pure avvertito, annunciando per ottobre un summit internazionale dei donatori che si svolgerà a Tbilisi: «La Georgia non rinuncerà mai alla sua sovranità, ad una parte del suo territorio».
Medvedev, che ha ricevuto gli ospiti nella sua residenza ufficiale fuori Mosca del castello di Maindorf dove ha «dimenticato» di far esporre il vessillo dell’Ue, ha garantito che il ritiro avverrà: precedenti promesse analoghe non sono state però mantenute e a pensar male già s’intravedono i germi del futuro mancato mantenimento anche di questa, con le accuse russe alla Georgia di rafforzare il suo potenziale militare con l’aiuto Usa. Ma ha anche messo in tavola le sue carte per il momento vincenti: le truppe russe non se ne andranno né dall’Abkhazia né dall’Ossezia meridionale (in conferenza stampa Sarkozy lo ha confermato aggiungendo un «naturalmente» che a georgiani e americani non dev’essere piaciuto); il riconoscimento da parte di Mosca dell’indipendenza delle due Repubbliche dovrà essere considerato definitivo e irreversibile; e infine, per meglio sottolineare questo concetto, l’annuncio dell’imminente scambio di ambasciatori con Sukhumi e Tskhinvali (le oscure «capitali» degli autoproclamati neosatelliti di Mosca) e la firma con questi di accordi «anche di natura militare».
Tutto questo renderà le annunciate discussioni di Ginevra un vano esercizio retorico e Medvedev si è cavato la soddisfazione di dire ai giornalisti di mezzo mondo presenti a Maindorf che «con la Russia bisogna sempre fare i conti».
Il presidente russo ha aggiunto che l’Europa dovrà farsi una ragione del fatto che il processo di indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud è una realtà concreta. A questo punto, pur nel clima di sorrisi e ostentata soddisfazione, Sarkozy ha replicato con una battuta tagliente: «Ringrazio il presidente Medvedev di essersi fatto portavoce dell’Ue, io non sarò portavoce della Russia. Se si parla di discussioni che devono cominciare a Ginevra il 15 ottobre, significa che c’è da discutere».
Ma se il contesto dell’incontro russo-europeo è stato tutto sommato positivo, quello tra Mosca e Washington rimane pessimo. Al castello di Maindorf Medvedev non ha mancato di ribadire che dietro «all’attacco idiota di Saakashvili all’Ossezia del Sud» c’erano gli americani.

E Mosca non è parsa convincente quando ieri ha negato che l’invio di proprie unità navali da guerra (guidate dall’incrociatore «Pietro il Grande») nel Mar dei Caraibi per manovre con la Marina del Venezuela del filocastrista Hugo Chavez fosse una ritorsione all’invio a Poti della «Mount Whitney». Bush, per lo meno, è stato sincero e ieri, annunciando il blocco dell’approvazione dell’accordo sul nucleare civile con Mosca, ha detto chiaro e tondo che si tratta di una risposta all’invasione della Georgia.

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