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Sartre e le droghe: le allucinazioni gli facevano vedere mostri e aragoste

Documenti inediti e un libro in uscita negli Usa svelano l'uso che il filosofo francese faceva della mescalina negli anni Settanta. Tracce di stati di alterazione rintracciabile anche nel suo capolavoro «La nausea»

Sartre e le droghe: le allucinazioni gli facevano vedere mostri e aragoste

Il potere immaginativo della filosofia.
Jean-Paul Sartre (1905-1980) inseguito da battaglioni di aragoste rosse sugli Champs-Elysees, i grandi viali di Parigi. Era questa una delle ricorrenti allucinazioni del filosofo francese negli anni Settanta, quando si drogava con la mescalina, un potente principio attivo contenuto nel peyote, un cactus di piccole dimensioni che cresce prevalentemente in Messico. Il padre dell'esistenzialismo, che aveva cominciato a sperimentare la sostanza psichedelica già a partire dal 1935, quando ormai era più che sessantenne era talvolta vittima di allucinazioni dove i «mostri» erano crostacei giganti che lo inseguivano.
Le allucinazioni con i granchi e le aragoste nelle strade di Pargi erano collegate a una terribile sensazione di un freddo patita da Sartre. La storia finora conosciuta dalla cerchia degli amici intimi del filosofo è ora rivelata, racconta in un'anticipazione il sito internet della rivista «Le Nouvel Observateur», per il grande pubblico da un nuovo libro in uscita negli Stati Uniti, che fornisce precisazioni inedite sul flirt di Sartre con la follia della droga.
Il volume si intitola «Talking with Sartre» ed è pubblicato dalla Yale University Press: raccoglie una serie di conversazioni inedite tra l'autore di «L'essere e il nulla» e John Gerassi, un professore di scienze politiche del Queens College di New York, i cui genitori frequentavano il filosofo ed i suoi amici intellettuali francesi.
Fernando Gerassi, un ebreo turco, che fu uno dei generali dell'esercito repubblicano durante la guerra civile spagnola, era il marito dell'ucraina Stepha: la coppia fece la conoscenza di Sartre e della compagna Simone de Beauvoir durante la frequetazione della Closerie des Lilas, la celebre brasserie parigina, di fronte alla quale si trovava una clinica dove nacque proprio John Gerassi.
«Fu in quella brasserie che mio padre conobbe Sartre, de Beauvoir ma anche Andrè Breton, Marc Chagall e Joan Mirò, che si radunavano lì per bere. E di tanto in tanto mio padre lasciava il locale per precipitarsi per le scale della clinica per vedere se ero nato», racconta John Gerassi. Il giorno in cui il figlio di Fernando e Stepha vide la luce, Sartre arrivò in notevole ritardo alla critica. Ma il filosofo, descritto nel libro come un ateo incallito, accettò l'invito della coppia di nuovi amici di fare il «non padrino» del neonato. La vicinanza della sua famiglia con Sartre offrì molti anni dopo a John Gerassi l'occasione di fare una serie di interviste approfondite con il filosofo in vista di una biografia.
L'autore del romanzo «La nausea», insignito del Premio Nobel della Letteratura nel 1964, che clamorosamente rifiutò, iniziò a sperimentare la mescalina nel 1935 - racconta John Gerassi nel suo libro - soprattutto per curiosità, come molti altri scrittori ed artisti, ad esempio come Aldous Huxley e Henri Michaux, con l'obiettivo di vivere stati di alterazione o espansione della coscienza.
Così Sartre raccontò una sua allucinazione psichedelica a Grenassi: «Dopo aver preso la mescalina, cominciai a vedere in ogni dove granchi intorno a me. Granchi che mi seguivano per la strada, financo in classe. La mattina dopo mi svegliai e dissi loro: "Bongiorno, piccoli, avete dormito bene?" E poi: "Okay ragazzi, ora andiamo in classe". E quei granchi rimasero là, circondando il mio ufficio, con grande tranquiillità, fino a quando non suonò la campanella». Secondo John Gerassi, tracce dell'influenza delle allucinazioni si ritroverebbe anche nella scrittura di Jean-Paul Sartre, ad esempio già nel romanzo «La nausea» del 1938, considerato il manifesto dell'esistenzialismo, a cui lavorò tre anni dopo la prima assunzione della mescalina, oppure in certe scene del dramma teatrale «I sequestrati di Altona» del 1959, che tre anni più tardi divenne un film del regista Vittorio De Sica.
Quando gli stati di alterazioni diventarono sempre più frequenti, racconta Gerassi nel suo libro, come quando vedeva giganteschi ragni sul soffitto, Sartre chiese una consulenza a un giovane psichiatra chiamato a un futuro luminoso, all'epoca un certo Jacques Lacan, che diagnosticò a Sartre una depressione. La sua ricorrente «visione» di ragni o granchi era provocata da una depressione psichica, innescata dalla paura di restare intrappolato nel ruolo di insegnante.

«Dovevo prendere la vita sul serio, era questo ciò che c'era di peggio - raccontò Sartre a Gerassi in un colloquio - I granchi rimasero con me fino al giorno in cui molto semplicemente decisi che essi mi avevano annoiato e fu così che da allora non prestai più a loro nessuna attenzione».

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