Saviano come Napolitano Sono guai per chi li critica

Scrivere questo articolo è molto difficile e certamente rischioso. Soprattutto per me che, oltre a essere sindaco nella terra dove è ancora latitante e ha certamente potere l’ultimo mafioso di primo livello, Matteo Messina Denaro, e dove l’antimafia ritiene che il suo potere ancora si eserciti, sono anche uomo di parola, e di denuncia, ma senza accettare regole e senza essere iscritto al club dei professionisti dell’antimafia. Cosicché senza avere il sostegno di Repubblica, di Annozero, di Marco Travaglio, di Rita Borsellino, di Sonia Alfano, quando io ho denunciato gli interessi della mafia della schifosa impresa dei parchi eolici, improvvisamente cresciuti nella provincia di Trapani, nessuno, dico nessuno, dei sopra citati professionisti dell’antimafia (diversamente da quanto è accaduto in Sardegna) mi ha seguito e sostenuto, con l’eccezione del sindaco di Gela, Rosario Crocetta. E sarei stato ancora più solo se un’indagine della magistratura non avesse portato all’arresto di tredici persone, tra imprenditori, politici e mafiosi, sotto il controllo di Messina Denaro, a conferma delle mie posizioni. La lotta continua e nel frattempo ho ricevuto buste con pallottole, teste mozze di maiale, cani morti e innumerevoli, quotidiane, telefonate anonime.
La premessa era necessaria per dire che anch’io, come Saviano, sono sotto scorta, nella forma più lieve della cosiddetta «tutela», assegnatami dopo le minacce e con l’obiettivo di prevenire rischi per rivendicazioni annunciate perché io sono in una posizione singolare: sono minacciato anche dall’antimafia, o sedicente tale che non mi perdona le critiche alla magistratura e in particolare a Caselli. Ma non è consentito criticare gli intoccabili, indicare le loro distrazioni, l’impegno straordinario su falsi obiettivi, i veri obiettivi mancanti. Ne consegue che io mi sono trovato paradossalmente minacciato dalla mafia e dall’antimafia, non essendo, come Roberto Saviano, politicamente corretto, e cioè da una parte sola come egli ribadisce con energia nel suo irritato articolo su Repubblica di ieri: «Io, la mia scorta e il senso di solitudine». Un articolo inquietante in cui si ripete, con facile retorica: «Sono fiero di stare antipatico a chi...», dividendo il mondo in buoni e cattivi. Naturalmente i cattivi sono quelli che osano dubitare del suo «costante impegno» e delle minacce che gli ha procurato. Perché chi critica Saviano è amico dei camorristi. Questo il senso del suo articolo intimidatorio. Non si può pensare che il suo ruolo di vittima designata sia amplificato per favorire l’immagine dello scrittore impegnato, anche se, ironia della sorte, affianca nella stessa prima pagina di Repubblica il suo articolo drammatico e la pubblicità del suo ultimo libro con la copertina colorata e la dedica ammiccante: «Questo libro va ai miei lettori. A chi ha reso possibile che Gomorra divenisse un testo pericoloso». Un libro Mondadori, una pubblicità Mondadori. Niente di male ma, mentre si invoca la libertà di parola per sé, eroe minacciato, si indicano i nemici in altri che hanno o dovrebbero avere diritto di legittima critica o per lo meno di dubbio e che sono accusati di non difendere il minacciato Saviano, di abbandonarlo, di far mancare «l’impegno unitario» di stare con lui, dalla sua parte e di proteggerlo.
Chi lo critica non ha nome, non merita di essere citato se non con uno sprezzante «funzionario». Chi osa ospitare questo calunniatore che diffonde «discredito» (letteralmente) è, senza precisazione, «un grande quotidiano». O con me o contro di me. Saviano scrive: «Mi ha difeso l’Antimafia napoletana attraverso le dichiarazioni dei pm Federico Cafiero de Raho, Franco Roberti, Raffaele Cantone. Mi ha difeso il capo della polizia Antonio Manganelli con le sue rassicurazioni e la netta smentita di ciò che era stato detto da un funzionario. Mi ha difeso il mio giornale. Mi hanno difeso i miei lettori. Ma uno sgretolamento di questa compattezza è malgrado tutto avvenuto e un grande quotidiano se ne è fatto portavoce». Toccherà a me dire che «il grande quotidiano» è il Corriere della Sera e che il «funzionario» è Vittorio Pisani. Un giornale democratico. Un uomo che rischia la vita. Mi sia consentito dargli parola per rispondere a Saviano: «Io faccio anticamorra dal 1991. Ho arrestato centinaia di delinquenti. Ho scritto, testimoniato... Be’, giro per la città con mia moglie e con i miei figli senza scorta. Resto perplesso quando vedo scortate persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, carabinieri, magistrati e giornalisti che combattono la camorra da anni. Non ho mai chiesto la scorta. Anche perché non sono mai stato minacciato. Anzi, quando vado a testimoniare, gli imputati mi salutano dalle celle». Quest’ultima frase non dev’essere piaciuta a Saviano che ribatte, con malizia (e non è bello): «So che è molto difficile vivere la realtà campana, ma c’è qualcuno che ci riesce con tranquillità. Io non ho mai avuto detenuti che mi salutassero dalle celle, e non me ne sarei mai vantato, anzi, pur facendo lo scrittore, ho ricevuto solo insulti». Saviano deliberatamente ignora altre osservazioni di Pisani su alcune «regole deontologiche, come il rispetto della dignità umana» e ricaccia il calunniatore nell’anonimato: «Qualcuno dice a Napoli che è riuscito a fare il poliziotto riuscendo a passeggiare liberamente con moglie e figli senza conseguenze». Sorvoliamo sulla cattiva sintassi di Saviano ma non sull’unico elemento che, al di là di simpatia, antipatia o indignazione, dà senso alle dichiarazioni di Pisani: «A noi della Mobile fu data la delega per riscontrare quel che Saviano aveva raccontato a proposito delle minacce ricevute. Dopo gli accertamenti demmo parere negativo sull’assegnazione della scorta».
Dunque i tecnici, gli investigatori, fanno le indagini e non trovano riscontri; e, tecnicamente escludono la necessità della scorta. Chi la assegna dunque? I politici e i dirigenti nominati dai politici. I tanto odiati politici del centrodestra. Il fatto è che, come alcuni, come i magistrati di Palermo, come il presidente della Repubblica, Saviano appartiene alla categoria degli intoccabili. Io invece a quella dei toccabili. Non riesco a dividere il mondo in buoni e cattivi. «E non sono fiero di stare antipatico a chi...». Non sono fiero ma sono incazzato contro chi vede distruggere la Sicilia, la Campania, la Puglia e tace raccontando di essere minacciato. Ma Saviano ha mai visto la distruzione del paesaggio fatta da nelle regioni meridionali dagli speculatori dell’eolico, crocefiggendo montagne, solo per cupidigia di denaro? E perché ha taciuto? E perché tace? E con lui tutti gli amici di Beppe Grillo, di Travaglio, di Di Pietro, di Santoro pronti a esprimere solidarietà e a firmare appelli. Io sto con Vittorio Pisani e credo alla sua parola e al suo impegno di poliziotto.
Io sto con il Corriere della Sera che consente di esprimere il proprio pensiero non a chiunque ma a chi ha buone ragioni anche non comode, anche non facili, anche non retoriche, mentre migliaia di indignati firmavano per la libertà di stampa. E se la battaglia contro la criminalità ci accomuna, a Saviano, a Pisani, a me, ci vuole dire Saviano perché il «funzionario» avrebbe fatto le dichiarazioni che tanto lo hanno irritato? Per invidia?, Per antipatia?, Per incapacità? Dobbiamo credere più al capo della Mobile di Napoli o al ministro Maroni? Altra cosa è che la prudenza e la ragione di Stato, o ragion politica consiglino, come è stato anche nel mio caso, di proteggere persone coraggiose, come certamente Saviano è, o temerarie che, al di là della concretezza delle minacce, sono a rischio. Saviano ricorderà che Montanelli fu gambizzato, che Costanzo sfuggì a un attentato, e che altri giornalisti come Walter Tobagi, o Peppino Impastato (non solo magistrati) sono stati uccisi. I giornalisti che dicono la verità sono a rischio, siamo a rischio ma nessuno può pretendere di essere intoccabile, nessuno ha diritto di indignarsi o di fare emozioni degli affetti per una critica, né Saviano, né il presidente della Repubblica. A meno che non aspirino e non glielo vorrei augurare a diventare come padre Pio, e a pretendere non ragionamenti, valutazioni, discussioni, ma atti di fede.

Con questa logica, come chi critica il capo dello Stato, anche chi critica Saviano rischierà di essere processato per vilipendio a «professionista dell’antimafia». Sciascia laico e irriverente, resterebbe senza parole. Lui, non «intoccabile», ma toccabilissimo.

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