Sbarcano in Libano i primi soldati italiani

Altri 300 uomini prenderanno posizione entro oggi. A dispiegamento completato saranno in tutto circa 2.500

Fausto Biloslavo

«Lupen da Bravo Mike, touch down», ordina via radio il sottotenente di vascello Alessandro Miglietta sotto il sole cocente del Libano meridionale. Il portellone del mezzo da sbarco si apre rumorosamente e due blindati schizzano a terra con la bandiera dell’Onu sventolante ed il tricolore dipinto sulla corazza. Non è lo sbarco in Normandia, ma per i marines italiani con l’elmetto blu, resterà nei ricordi come il Libano day, la missione iniziata dal mare per provare a garantire la pace nel martoriato Paese dei cedri.
Non c’erano i razzi di Hezbollah o i cacciabombardieri israeliani a fermare lo sbarco, ma onde e vento che hanno costretto la nave San Giorgio a spostarsi più a sud, rispetto alla spiaggia di Tiro capoluogo del Libano meridionale. Alle 9 e 30 i primi mezzi da sbarco sono stati lanciati verso il porticciolo di Naqura, dove si trova la più importante base dell’Onu ad un passo dal confine israeliano. Oltre un’ora prima i fanti di marina del Reggimento San Marco erano stati trasportati a terra con gli elicotteri a fianco dell’albergo di Tiro occupato dai giornalisti di mezzo mondo, quasi si volesse servire la pappa pronta alle grandi televisioni.
«Sono stato in Irak e in Kosovo e per me è una grande soddisfazione far rispettare la pace in un paese martoriato come il Libano», spiega con una punta di orgoglio il sergente Gaetano di Laura della provincia di Taranto. Occhi verdi, dito sul grilletto del fucile automatico, seminascosto dalla vegetazione, è uno dei primi fanti del mare giunti a Tiro. Lo sbarco è pacifico, ma da queste parti le brutte sorprese non mancano.
Una ventina di chilometri più a sud, a Naqura, i mezzi da sbarco sfidano le onde carichi di camion e cingolati della task force anfibia di 800 uomini, che ha dato il via all’impegno italiano in Libano nel contesto della missione Unifil. «Pronti a partire!» urla un tenente del San Marco che comanda la prima colonna italiana diretta verso l’interno. Lungo la strada costiera che porta a Tiro i nostri marines hanno il primo impatto con la realtà del Libano meridionale. Il fante del mare che spunta dalla botola di uno dei cingolati osserva i resti di una pompa di benzina polverizzata dagli F16 israeliani. Lungo il tragitto i santini dei “martiri” di Hezbollah, morti nelle tante battaglie contro gli israeliani, sono appesi ai pali della luce. Ogni tanto la colonna passa sotto qualche striscione giallo che attacca l’America e inneggia alla vittoria di Allah, ma i caschi blu italiani vengono salutati abbastanza festosamente dalla popolazione e ricambiano con piacere.
Sulla spiaggia di Tiro arriva in elicottero l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, comandante dello sbarco. Sulla divisa bianca impeccabile risalta l’aquila d’oro da pilota, che gli ricorda sempre la sua prima missione in Libano nel 1982. «Stiamo recuperando il ritardo causato dalla risacca ed il vento ­ spiega il comandante ­. Entro questa sera avremo portato a terra 500 uomini e l’operazione continuerà domani».
Il compito di sfidare la risacca e il vento spetta all’altra componente della Forza di proiezione del mare, il Reggimento lagunari Serenissima. All’orizzonte, vicino alle navi, i mezzi anfibi cingolati AVV7 sono cinque puntini neri che a causa dell’effetto delle onde sembrano immergersi. L’obiettivo è la spiaggia sabbiosa di Tiro, zeppa di ombrelloni, ma proibita per un giorno ai bagnanti. I cameramen televisivi sono in fibrillazione ed un veterano della Rai, fin dalla Somalia, esclama: «È come essere a Hollywood!». Lo sbarco dei lagunari, iniziato alle 14, è in effetti scenografico. I cingolati anfibi sfidano le ondate con gli uomini che spuntano dalle botole incuranti dell’aggressività del mare. Il maresciallo Filippo Novati comanda i “Caimani”, nomignolo della squadra. Quando ordina «presa di spiaggia, in colonna» i mastodontici cingolati anfibi mordono uno dietro l’altro il bagnasciuga. I cingoli sollevano nuvole di sabbia e gli AAV7, che possono trasportare fino a sedici uomini ciascuno, proseguono la missione dirigendosi verso l’entroterra dove li attende una base dell’Onu in mezzo alle colline del Libano meridionale teatro di aspri combattimenti fino a poche settimane fa.
Il campo avanzato si trova a Jebel Marun (Deir Kifa), 30 chilometri a nord-est di Tiro e per una decina di giorni sarà il punto di raccolta dei primi mille soldati italiani della missione Leonte, che a regime schiererà 2500 uomini.
La colonna dei cingolati anfibi si inerpica per le strade strette al sud del fiume Litani presidiate ad ogni incrocio dai soldati dell’esercito libanese, che sono tornati nel Libano meridionale dopo 30 anni. Hezbollah non se ne vedono, ma il faccione arcigno del grande ayatollah Alì Khamenei, guida dell’Iran, campeggia nei poster lungo il tragitto al fianco dei boss sciiti del Libano. Basurieh è il villaggio dove è nato Al Sayed Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah nel mirino degli israeliani. Quando i cingolati anfibi lo attraversano non tutti rimangono indifferenti e diverse persone salutano gli italiani.

Un bambino di 11 anni, Hadi Jaffal, è sceso in strada ad attenderli con un tricolore tenuto da parte dalla vittoria ai mondiali di calcio. Lo sventola, un po’ emozionato al passaggio della colonna dei lagunari. Per lui e un gruppo di piccoli amici non è solo un gioco: «Se arrivano nuovi caschi blu vuol dire che la guerra è finita».

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