Prima della Scala Un grande successo nonostante tutto

D’obbligo occuparci della Scala. D’accordo con Vittorio Sgarbi e Paolino Isotta, critici se non indiscutibili certo impareggiabili: che orrore quella scenografia per il Tristano e Isotta. E anche con Borrelli, l’ex procuratore: per fortuna c’era la musica di Wagner. È vero, è stato un trionfo, ma per Barenboim, senza scarpe ma bacchetta prodigiosa, e per cantanti e orchestrali, quest’ultimi lodati da Napolitano, che ha fatto loro promesse. D’accordo, infine, con Fedele Confalonieri, vero intenditore di musica: la Scala era grande prima e lo sarà anche dopo. Dopo Lissner, evidentemente.
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Queste parole di Formigoni meritano l’affissione: «Se fossi presidente della Fondazione Scala, avrei invitato il Dalai Lama». Che al Palasharp, per suo conto, ha avuto ben ottomila fedeli. In compenso alla Scala c’erano 19 nostri ministri, decisi a godersi l’ultimo invito, prima della caduta del governo.
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Merita una citazione Piero Bassetti, che sul Riformista non ha esitato a dire che «Milano non è più la Scala e Pirelli», redarguito poi, sempre sul Riformista, da Antonio Calabrò, direttore delle relazioni esterne della Pirelli. Nient’affatto intimidito, il vecchio Piero ha replicato: a Milano sono mutati gli assetti cittadini e di potere, c’è in sostanza un cambiamento genetico.

Come negare che c’è un po’ di verità?
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Un’ultima piccola annotazione, ma non la meno importante: non è piaciuta la polemica tra l’attuale sindaco e quello precedente, i cui meriti è ingiusto disconoscere. Signori, un po’ più di stile.

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