Scala, lo sciopero è costato un milione

A tanto ammontano le mancate entrate per le rappresentazioni fatte saltare dal sindacato. E oggi niente "Romeo e Giulietta". De Pasquale: "È la prova che è solo una protesta politica"

E con questo fanno cinque. Lo sciopero indetto dalla Cgil che fa saltare la recita «Romeo e Giulietta» di Kenneth MacMillan in calendario per oggi alla Scala, è solo l’ennesimo filone che da questa primavera ha lasciato serrati i battenti del Piermarini. Prima di oggi, era accaduto con il «Simon Boccanegra» (4 maggio), con «L’oro del Reno» (13 maggio), col «Trittico Novecento» (27 maggio) e col «Faust» (21 giugno). L’uomo della strada potrebbe anche rispondere «chi se ne infischia». E invece, melomani depressi a parte, questi scioperi causano un danno non indifferente al teatro e anche alla città: un danno quantificabile in un milione e 80mila euro. È infatti questa la cifra risultante dalla vendita dei 1.800 biglietti per ognuno dei cinque spettacoli che fruttano all’incirca 200mila euro. «Ma c’è di più - tuona il consigliere Pdl Fabrizio De Pasquale -. Non bisogna dimenticare il mancato indotto e il danno di immagine per la città, visto che il 10 per cento dei biglietti è venduto agli stranieri, un pubblico che porta economia e che subisce i maggiori disagi per il rimborso dei tagliandi». Per renderci utili pubblichiamo la nota laconica con cui il teatro avvisa che «i biglietti dovranno essere spediti o restituiti dal cliente, entro il giorno 03 luglio 2010, alla Biglietteria Centrale di piazza Duomo aperta dalle ore 12 alle ore 18 tutti i giorni. Per ulteriori informazioni: Servizio Infotel 02.7200.3744».
Ma, danni a parte, c’è qualcosa che suona ancor più beffardo in questo ennesimo sciopero al Piermarini, e cioè la sua opportunità. «Diciamo pure che è demenziale, o meglio è uno sciopero meramente politico -dice De Pasquale- perché il decreto del governo razionalizza gli sprechi ma di fatto agevola le eccellenze. E se c’è un ente lirico che ne verrà a beneficiare, rispetto a tanti altri, è proprio la Scala, che acquisterebbe maggiore autonomia. Certo, si renderebbero più difficili certe anomalie, tipo la moltiplicazione degli incarichi (e degli stipendi) delle orchestre, ma sono certo che non è questo il punto. Il punto è che la Cgil usa la Scala perché fa più clamore, con quelle immagini che girano il mondo e che certo non fanno fare una bella figura a Milano». Intanto anche all’assemblea di ieri, i lavoratori del teatro hanno duramente criticato il decreto Bondi definendolo «un attacco inaudito alla cultura», e i rappresentanti sindacali hanno invocato l’intervento del sindaco Moratti in qualità di presidente della Fondazione Scala: «Troviamo assordante il silenzio del sindaco -hanno detto i rappresentanti- e a questo punto vorremmo che le istituzioni di Milano ci dicano da che parte stanno». Una querelle che rischia di non portare a un bel nulla. «Anziché attaccare il governo -dice De Pasquale- i sindacati dovrebbero prendersela per gli errori precedenti.

La riforma Veltroni che ha trasformato i teatri in fondazioni ha lasciato intatte le piante organiche e anzi ha fatto lievitare le assunzioni. E oggi a essere penalizzati economicamente sono proprio quei teatri, come la Scala, capaci di fare tournée all’estero e che hanno organici elefantiaci». I lavoratori della Scala, sono un migliaio.

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