MilanoTeatri dItalia sul piede di guerra, o già in battaglia, per dire no al decreto Bondi sulla riforma delle fondazioni liriche. Così saltano spettacoli, sfilano cortei e i direttori musicali prendono la parola. Lo ha fatto Zubin Mehta, per il Maggio Musicale Fiorentino. Per il teatro alla Scala ieri si è espresso il maestro scaligero, Daniel Barenboim esternando la sua «preoccupazione» per quanto sta avvenendo. Se il teatro venisse occupato, come si paventa, lei da che parte starebbe? Dei lavoratori? Barenboim ci pensa, non lo esclude, ritiene sia prematuro parlarne: «Non siamo ancora lì», risponde. Nel frattempo, è saltata la recita di martedì del Simon Boccanegra di Verdi. Così come salterà la prima dellOro del Reno di Wagner, del 13 maggio, della quale però oggi si aprono le prove al pubblico: bel colpo di scena. Stephane Lissner, sovrintendente, spiega che non è uno spettacolo vero e proprio, ma solo delle prove, quindi si accontenta il pubblico mettendo a disposizione alcuni palchi, mentre la platea è riservata agli artisti. Si potrà assistere al primo turno delle ore 14-17 e poi al secondo fra le 19 e le 22. Per ragioni tecniche e di sicurezza potranno assistere non più di trecento spettatori per volta.
Cosa pensa il maestro della vertenza delle fondazioni liriche? Barenboim è un acuto affabulatore, ma non usa eufemismi per descrivere latmosfera che si respira in teatro, «uso una sola parola per definire la situazione: incomprensione». Incomprensione, anzitutto, del valore assunto dalla cultura in generale e in particolare dalla musica. E cita lesperienza della sua orchestra israelo-palestinese, parla di Ramallah, in Palestina, «dove non cè la minima tradizione musicale europea, però il risultato è che lì unora di violino di un ragazzo equivale a unora di lontananza dalla violenza. Questo spiega che la musica non è un lusso, ma è una necessità», dice a muso duro. Spesso ripete il termine «elitario» per spiegare appunto - che la grande musica non è «elitaria», non è un diletto per pochi, semmai «è unespressone dellanima». Tuttavia, continua, è necessaria «uneducazione musicale che via via si sta spegnendo. I problemi non si risolvono facendo tagli alla cultura, semmai bisogna fare investimenti sulleducazione» per far sì che la cultura venga poi recepita e non sia per pochi. Il discorso fila liscio. Però è epoca di crisi, i budget si restringono per chiunque, dai cittadini alle istituzioni. «Sì, ma non si può pensare che un musicista possa fare bene il proprio lavoro con un contratto di un anno», allusione chiara al decreto. Altra cosa. «Che ci siano problemi comuni per i teatri è evidente, ma è molto importante tenere conto della specificità di ogni teatro. Queste decisioni faranno danni alla qualità musicale del Paese. Quanto alla cultura, allestero lItalia è nota per Dante, per Leopardi, e poi per una lunga serie di musicisti, a cominciare da Verdi. Si sta dando un segnale molto negativo per lItalia, internazionalmente parlando». Barenboim rammenta che Stati come Italia, Germania, Francia e Austria sono il cuore propulsore della grande musica e hanno «ora la responsabilità di mantenere viva la tradizione. Io sono molto preoccupato, e non solo per quanto avviene in Italia. È unepoca molto strana: culturalmente, politicamente ed economicamente. Il risultato continua è che anche le parole hanno perso parte del loro senso. In una situazione di crisi è il caso di fermarsi, osservare e pensare a come uscirne». Difende a spada tratta la Scala, che negli ultimi anni è migliorata quanto a qualità e quantità dellofferta: «Perché punire un teatro che è in crescita, simbolo dellItalia», chiede Barenboim, maestro scaligero da cinque anni. Quindi parla della sua esperienza a Berlino dove è direttore musicale a vita.
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