La par condicio non è di sinistra, la Rai sì. Silvio Berlusconi non va in televisione, come per altro aveva già fatto Walter Veltroni, e in fedele ottemperanza della legge salta anche l’intervista al leader del Partito democratico. E come recupera l’Annunziata? Con Eugenio Scalfari, il decano dei giornalisti italiani. Bene, la par condicio è salva, peccato che poi Scalfari, esattamente come fece Benigni per le elezioni del 2001, sostituisca Veltroni con uno spirito più militante di quello che avrebbe avuto lo stesso ex sindaco di Roma. Lo Scalfari veltroniano si scatena, fa professione di appartenenza al Pd e si lancia in una lunga dissertazione contro il Cavaliere e i mali dell’Italia berlusconiana. E fin qui, per quanto discutibile, siamo ancora nella legalità. Ma Scalfari deve essersi troppo immedesimato nella parte di Veltroni o forse deve piacergli troppo e, nonostante abbia da tempo raggiunto l’età della saggezza, perde il controllo e comincia a citare sondaggi proibiti, la cui unica certificazione è data dalla sua parola.
Nessuna parola, invece, su Romano Prodi, l’uomo che ha governato il Paese fino a ieri. Non pervenuto. Ma d’altra parte come si fa a suggerire la scaletta a Eugenio Scalfari? Ci pensa lui, non con l’autorevolezza di chi è al di sopra della parti, ma con il piglio di chi tifa e combatte una sua battaglia politica. Ovviamente quella per il Pd.
Non c’è nulla da aggiungere o commentare, se non ricordare ai girotondini arrabbiati, ai falsi garanti, a quelli che «siamo il Paese del conflitto di interesse», ai doppiopesisti che strepitano ad ogni sussurro del Cavaliere gridando alla violazione delle regole, cosa sarebbe accaduto se al posto di Berlusconi avessero invitato Emilio Fede e gli avessero consentito uno spot elettorale, con tanto di sondaggi fuorilegge, come quello di Scalfari, in favore del suo leader preferito e di sua moglie, candidata nelle liste del Pdl?
Non è accaduto e non accadrà.
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