Gianni Pennacchi
da Roma
Non si configura il tradimento, e per la verità non si è ancora al divorzio, ma la diffida che minaccia la separazione cè già tutta. È finita la luna di miele e sè spezzato lincanto, se addirittura Eugenio Scalfari, il padre padrone di Repubblica, spara sui suoi beniamini appena risaliti al potere, menando fendenti e scudisciate. Forse tuona anche a nome e per conto di Carlo De Benedetti oppure no, tantè che il suo affondo spiccava ieri in prima pagina sul quotidiano più amato a sinistra, e cade allindomani delle frecciate di Luca Montezemolo, leader di un vertice industriale che appare anchesso deluso. E che tanto il governo di Romano Prodi quanto i partiti dellUnione vedano già sfumare la fiducia dei poteri forti che li avevano sponsorizzati, dopo solo un paio di settimane dallinsediamento nelle stanze dei bottoni, la dice lunga sulle prospettive.
Altro che cento giorni di luna di miele, il centrosinistra deve aver fornito uno spettacolo indecoroso non solo agli occhi avversari, se Scalfari non aspetta gli otto giorni di preavviso alle colf, per sventolare il foglio di via. Da gran giornalista qual è, il nume di Repubblica si dice sicuro di interpretare anche il pensiero dei suoi lettori, dunque il popolo dellUnione, illustrando la «cosa spiacevole» sulla quale troneggia un titolo al piombo fuso: «Le poltrone aumentano ma cala il consenso». E la mazzata sta subito nelle prime righe: «Il governo Prodi sta dando, almeno per ora, unimmagine di sé scomposta, sciancata, mediocre. Analoghe sensazioni suscita la maggioranza parlamentare che dovrebbe sostenerlo e che sembra invece intenta a seminare sulla sua strada petardi e bombe-carta con effetti deleteri non tanto sulla linea politica quanto sul consenso popolare. Il quale sta scemando in misura preoccupante».
Il referto scalfariano emana sentore di morte assai vicina, il jaccuse sul poco che lUnione ha mostrato in questi primi giorni di governo prosegue spietato: «Emergono spinte centrifughe nella coalizione di governo, si accentua la nefasta gara mai sopita alla visibilità dei partiti, la corsa agli incarichi, laffanno delle mediazioni infinite. Continua laumento della falange di sottosegretari, le liti sullo spacchettamento delle competenze ministeriali, le dispute su temi che il programma di governo pretendeva daver risolto una volta per tutte. Questo il quadro desolante che rischia di dissipare una parte del credito e delle aspettative riposte in Prodi e nella sua squadra, ancora così poco coesa da far temere lavverarsi delle peggiori previsioni». Sì, più o meno quel che denunciano gli avversari. Con laggravante della constatazione amara: «Temo che i protagonisti politici del centrosinistra non si rendano ben conto dei rischi crescenti di una situazione così fragile».
Che il fondatore di Repubblica e sodale di De Benedetti, abbia deciso di ritirar la sua benedizione e ripudiare il gruppo dirigente del centrosinistra? Piano, forse questa attesa è esagerata. Anche perché il fustigatore, dopo la colonna infuocata di prima pagina prosegue la sua articolessa occupando allinterno una paginata intera, e lì vien fuori che nel calderone del governo ci son due fari, due scialuppe di salvataggio, due nocchieri insuperabili che Scalfari indica per uscir dalla tempesta, Tommaso Padoa-Schioppa e Massimo DAlema. Particolarmente questultimo, al quale «non fanno difetto» - nella gestione della politica estera, sintende - «lucidità ed equilibrio». È un maestro il nostro, dunque si dilunga insegnando ai due, per filo e per segno, il che fare?: in economia alluno e con gli Stati Uniti allaltro. Ma è palese, sin troppo scoperto, che spera e scommette su DAlema. E se Prodi ha letto, di certo un poco si starà preoccupando.
Dunque limpressione finale è che sì, anche Scalfari è deluso e scontento, ma fustiga i suoi per risvegliarli e impartir loro la lezione, indicando la retta via. È sempre stato il suo sogno, dar la linea ai politici.
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