da Milano
Non cè più sabbia nella clessidra della giustizia: sono passati quasi trentanni e la sentenza definitiva non è mai arrivata. Tecnicamente, si chiama prescrizione del reato. In soldoni, Oreste Scalzone si scrolla di dosso una condanna a 12 anni per banda armata e rapina e dopo ventisei anni di «esilio» a Parigi, o di latitanza dal punto di vista dello Stato italiano, torna ad essere un uomo libero. E può immaginare il suo rientro a Roma.
In realtà i conteggi sono assai complessi: Scalzone è stato processato varie volte per fatti di terrorismo e un colpo di scena non può essere escluso. Per questo uno dei suoi avvocati, Tommaso Mancini, mette le mani avanti: «Scalzone ha sulle spalle unaltra condanna, questa volta definitiva, a 9 anni per il processo del 7 aprile. Bene, proprio oggi chiederò a Roma la prescrizione della condanna che, secondo me, ha perso ogni valore il 4 ottobre del 2006».
In attesa di un chiarimento sul fronte capitolino, Scalzone incassa il successo a Milano. È stata la Corte dassise a fischiare la fine del match e a revocare lordine di custodia mai eseguito perché il ricercato era scappato in Francia. Proprio la mancata estradizione ha pesato a suo tempo sulla bilancia della Cassazione e ha mandato il procedimento su un binario morto. Scalzone, infatti, era accusato di aver costituito i Comitati comunisti rivoluzionari e per questo era stato giudicato in primo grado, nell84, e in appello nell86 e in secondo grado la pena era stata limata a 12 anni. Nell87, giusto ventanni fa, la sorpresa: la Cassazione annullò il verdetto e rispedì le carte a Milano. Il motivo? Scalzone non poteva essere giudicato visto che Parigi non aveva concesso lestradizione. «Credo - aggiunge Mancini - che la Cassazione si fosse concentrata sullarticolo 14 della Convenzione europea di estradizione e avesse accolto il principio che una persona non può essere processata se non è stata consegnata dalle autorità del Paese in cui si è rifugiata. Un ragionamento che poi molte altre sentenze hanno smentito».
Questo è lincipit, davvero singolare. Il seguito però è ancor più stupefacente: da allora non è successo più nulla. Letteralmente. «Sì - conferma da Milano lavvocato Ugo Giannangeli -, dall87 si è creato un cortocircuito fra politica e giustizia. I giudici non hanno più riavviato il dibattimento perché temevano di andare incontro ad una nuova bocciatura da parte della Suprema corte, la politica daltra parte non è riuscita a risolvere il braccio di ferro con Parigi e non ha avuto il ricercato. Ora il tempo a disposizione è scaduto». E Oreste Scalzone è ormai un uomo libero dal suo passato.
Quando si parla di Scalzone si deve tornare al 68 e allesplosione della contestazione giovanile: Oreste, nato a Terni, nel 47, sale sul palcoscenico del movimento studentesco romano. Oratore torrenziale e appassionato, è protagonista degli scontri, violentissimi, di Valle Giulia e nel 69 è fra i fondatori di Potere operaio, insieme a Franco Piperno e Toni Negri. Nellaprile 73 il rogo di Primavalle, in cui muoiono i fratelli Mattei, manda in pezzi quellesperienza: Potop si scioglie qualche setimana dopo, al convegno di Rosolina. Lui però non scende dalle barricate: lo si ritrova leader milanese di Autonomia operaia e dei Comitati comunisti rivoluzionari. Il 7 aprile 1979 viene arrestato nella sede di Metropoli, la rivista che ha inventato con Franco Piperno e Lanfranco Pace. Laccusa dei magistrati padovani, il cosiddetto teorema Calogero, è di quelle da far tremare i polsi: dietro le Brigate rosse ci sarebbe lAutonomia e i vertici di Autonomia sarebbero gli ideatori del sequestro Moro. Scalzone rimane in carcere un anno e mezzo, quindi ottiene la libertà provvisoria. Il 24 marzo 1981 scompare dal soggiorno obbligato di Roma e ricompare a Parigi. Racconterà poi che ad aiutarlo ad espatriare è stato Gian Maria Volontè con la sua barca a vela.
Inizia la lunghissima stagione della latitanza, anche se lui sul vocabolario preferisce la parola esilio.
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