Scampa alla furia del mare, affonda per colpa dei soccorritori

Dopo aver scampato la tempesta, il vento contrario a 55 nodi e le onde alte 13 metri che l’avevano sorpreso al largo di Alessandria d’Egitto, coi motori in avaria, e squassato per oltre due giorni, il mercantile Jolly Amaranto si è arenato, con uno squarcio nella chiglia, all’imboccatura del porto egiziano dove l’avevano trascinata due rimorchiatori. Le responsabilità dell’incidente, avvenuto in piena notte, sono in corso di accertamento. Ma pare una beffa, considerato quello che avevano subìto la nave e come se l’erano cavata il comandante Federico Gatto, e i ventuno uomini dell’equipaggio. Resta il fatto che, per effettuare la manovra di ingresso nello scalo, erano saliti sul ponte di comando anche due piloti egiziani.
L’aveva scampata bella anche lui, Athos, il cane mascotte a bordo. Ormai era in salvo, al sicuro. In porto, la «Jolly», che pure imbarcava acqua da uno squarcio nella chiglia e si era inclinata su un fianco, non faceva più paura agli occupanti. Si poteva ragionare con calma, pianificare il trasbordo sul molo, cane compreso.
È cominciato il trasferimento in banchina. Ma per Athos, che vive da sempre a bordo della nave, ferma in porto o anche in viaggio sulla rotta dell’East Africa, il trasloco sul rimorchiatore che l’avrebbe portato sulla terra ferma dev’essergli sembrato una deportazione, o comunque una sorta di punizione. La sua casa, che diamine!, è lì, è sempre stata lì: sul ponte o nella stiva, in sala comando o in garage, dovunque ci sia da dare uno sguardo o addirittura vigilare contro gli intrusi, ladri, gatti e topi compresi. Insomma, dovunque ci sia la possibilità di concedersi uno sbadiglio, o il dovere di lanciare un abbaio. Chi saliva a bordo di una Jolly se ne rendeva conto: di come il quattrozampe rigorosamente meticcio, che è ospite fisso sulle navi dell’armatore Messina, sia considerato a tutti gli effetti un membro dell’equipaggio, inquadrato e coperto. Con la differenza che lui, il cane, non abbandonava mai la nave: ci restava anche da solo, faceva la guardia, un giretto di qua, un’occhiata di là, tanto per far vedere che «ci sono io, e se non voglio io, di qua non passa nessuno».
Non l’ha voluta abbandonare, Athos, quella nave, la «sua», neanche ieri notte, quando l’hanno trasferito sul rimorchiatore. Ha girato il muso verso la Jolly, s’è tuffato in mare, ha nuotato per ritornare «a casa», sordo ai richiami di chi ha navigato con lui, ne ha condiviso per anni, per mille miglia, bonacce e tempeste, nebbie e orizzonti, fino all’ultima, drammatica avventura alla deriva nel Mediterraneo.
Athos ha annaspato, furiosamente, controcorrente. Ma l’ha tradito l’onda sollevata dall’elica del rimorchiatore, è sparito all’improvviso sott’acqua.

Un marinaio s’è tuffato per soccorrerlo, invano. Il quattrozampe rigorosamente, orgogliosamente meticcio, se n’è andato così, fedele alla consegna com’è sempre stato. Dedicando l’ultimo saluto alla «sua» nave, come un vero marinaio di stampo antico.

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