Scappa anche Chiamparino: meglio sindaco che leader

RomaIl gran rifiuto è stato improvviso, così repentino da lasciare spiazzati collaboratori e amici. E da gettare nello sconforto quell’ampia fetta del Pd che, da Nord a Sud, era pronta a puntare tutto su di lui. Ancora ieri mattina, chi aveva parlato con Sergio Chiamparino si era fatto una certezza: il sindaco di Torino era pronto a scendere in campo, i «fatti significativi» cui vincolava la sua candidatura alla guida del Pd stavano maturando. Anzi, ad un amico del Pd aveva preannunciato che giovedì sarebbe stato a Roma, e che si sarebbe iniziato a lavorare al lancio della sua candidatura. Invece, a metà pomeriggio Chiamparino ha dato indicazione al suo staff di far trapelare la notizia della rinuncia. Vuol restare a Torino: «Una campagna elettorale fatta come necessario sarebbe incompatibile con l’impegno quotidiano che richiede questa città». Ma non rinuncia a sottolineare «il problema di insufficienza dello schema congressuale che si va delineando».
Lo «schema congressuale» che vede contrapposti Franceschini e Bersani è immediatamente ripartito come uno schiacciasassi: da oggi iniziano una raffica di manifestazioni pubbliche dei candidati e degli altri big del partito, da Veltroni a Rutelli, che si preparano a sponsorizzarli e indirizzarli. Ci saranno anche altre candidature: da Ignazio Marino a Mario Adinolfi. Rutelli annuncia una «bomba politica» per la sua manifestazione di Roma, anche lui potrebbe mettere in campo un nome di richiamo come Linda Lanzillotta.
Ma il solo vero competitor capace di scompaginare radicalmente i giochi e di attirare sul proprio nome una maggioranza di consensi pare essersi tirato definitivamente fuori. «Era l’unico forte ma esterno ai giochi oligarchici», si dispera Massimo Cacciari. «Sarebbe stata una ventata di rinnovamento autentico che al Pd serve come il pane», sospira il fassiniano Fabrizio Morri. L’area dei quarantenni, da Andrea Orlando a Alessandro Maran a Paola Concia, ha le lacrime agli occhi. Dietro al nome del sindaco di Torino si era creato uno schieramento trasversale che andava dalla veltroniana Melandri al dalemiano Minniti al prodiano Gozi. I fassiniani stavano quasi tutti con lui, nonostante l’endorsement pro-Franceschini di Fassino. «Se Chiamparino si candida Dario lascia», ha confidato lunedì ad un compagno di partito Giorgio Merlo, molto vicino al segretario. Lo schieramento franceschiniano rischiava l’implosione con Chiamparino in campo: pezzi di veltroniani e fassiniani, l’area dei giovani, il Piemonte, buona parte del Nord sarebbero stati con lui.
E ieri Piero Fassino e lo stesso Walter Veltroni si sono fatti vivi con Torino. Spiegando che per loro è impossibile mollare Franceschini, e che se lo scontro congressuale diventa una partita tra due ex Ds come Bersani e Chiamparino, per gli ex Ppi si aprirebbero solo due strade: l’aventino, o addirittura l’abbandono del partito. O lo spostamento su Bersani. «Se Dario, cioè il candidato ex Ppi che lo garantisce, deve farsi da parte, Marini ci mette cinque minuti a rimettersi d’accordo con D’Alema. E a quel punto Bersani, che già ha una probabile maggioranza congressuale, vince di sicuro», dice un veltroniano doc.
L’ex ministro ds, peraltro, ha già dalla sua cattolici come Rosy Bindi, come i mariniani di peso Ladu e Oliverio e come Enrico Letta, che punta a fare il candidato premier.

Senza fare i conti, dicono i maligni, con D’Alema, che pensa invece a Casini. «E così - ironizza il veltroniano Tonini - dalla vocazione maggioritaria passeremmo alla vocazione servente: se Casini si degna di allearsi con noi, gli serviamo la premiership».

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