Scaramella, l’incubo è finito: a casa dopo sei mesi in carcere

Arresti domiciliari per l’ex consulente della commissione Mitrokhin accusato di calunnia

Scaramella, l’incubo è finito: a casa dopo sei mesi in carcere

da Milano

Sei mesi in una stanza di due metri per tre, il letto, un tavolino, la televisione non c’era. L’incubo, almeno quello della detenzione più lunga che si sia vista per un indagato per calunnia, per Mario Scaramella è finito l’altra sera, quando è salito sull’auto dei genitori per recarsi, così riferiva ieri il quotidiano Il Mattino, nella villa di famiglia a Itri, in provincia di Latina, dove sarà agli arresti domiciliari: potrà vedere solo i suoi legali e la sua famiglia, e finalmente riabbracciare i figli di sei e sette anni. Dopo quasi sei mesi di detenzione a Regina Coeli, il gip del tribunale di Roma, Guglielmo Muntoni, ha infatti accolto l’istanza dei difensori dell’ex consulente della commissione Mitrokhin, gli avvocati Sergio Rastrelli e Gianluca Bucciero, che già avevano chiesto la revoca della custodia cautelare nel gennaio scorso, vedendosi però respingere il ricorso dal Tribunale del Riesame. Gli arresti domiciliari sono stati concessi per l’affievolimento delle esigenze cautelari.
Scaramella era rinchiuso nel carcere Regina Coeli dal 24 dicembre scorso, con l’accusa di calunnia aggravata nell’ambito della vicenda dell’ex spia russa Alexander Litvinenko, morto avvelenato a Londra con una dose mortale di polonio radioattivo. Fu arrestato dalla Digos a Napoli, all’aeroporto di Capodichino, appena rientrato dalla capitale britannica, dove si trovava dal 3 dicembre per un periodo di ricovero in ospedale perché, avendo avuto contatti con Litvinenko, riteneva di essere stato a sua volta contaminato dal potentissimo polonio 210. Nei suoi confronti la magistratura romana, con il pm Pietro Saviotti, ha ipotizzato una serie di reati: è accusato di calunnia aggravata nei confronti di un ufficiale ucraino per aver affermato di essere stato oggetto di attentati ai suoi danni e ai danni dell’ex presidente della commissione, Paolo Guzzanti. È stato poi raggiunto in carcere da altre due ordinanze di custodia cautelare, per traffico di armi e per un’inchiesta che lo coinvolge nella sua qualità di ex consulente del Parco nazionale del Vesuvio.
Il 28 dicembre fu interrogato per sei ore. Puntò il dito contro il premier russo Vladimir Putin, ma i magistrati non gli credettero. Da allora son stati mesi difficili, lui a pregare dal carcere «Non dimenticatevi di me», i suoi legali a cercare di dimostrare l’inutilità della detenzione preventiva, Forza Italia a segnalare, anche attraverso un’interrogazione al ministro della Giustizia, l’anomalia di «un indagato che collabora eppure resta in carcere», con le parole del senatore azzurro Lucio Malan. Due giorni fa sulla vicenda è intervenuta, ai microfoni del Tg2, la vedova di Litvinenko, Marina, dicendosi convinta che l’assassino di suo marito sia l’ex agente del Kgb Andrei Lugovoi. «Dietro c’è lo Stato russo» ha detto.

A suo avviso il primo tentativo di avvelenare Litvinenko, Lugovoi lo avrebbe compiuto il 16 ottobre 2006 nel Sushi Bar di Piccadilly, dove il 1 novembre successivo l’ex spia incontrò Mario Scaramella. Questo scagionerebbe completamente Scaramella.

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