Scatola nera, droga test, telefonini e telecamere: sarà scontro tra perizie

Chi stava in auto con Genovese gli avrebbe urlato di fermarsi dopo il terribile impatto

Scatola nera, droga test, telefonini e telecamere: sarà scontro tra perizie

La lettura della «scatola nera», i test tossicologici, le riprese delle telecamere, l’analisi dei telefonini. Sul drammatico incidente in cui hanno perso la vita le 16enni Camilla Romagnoli e Gaia von Freymann si preannuncia una battaglia legale senza precedenti. Una guerra delle perizie, da quelle disposte dal gip Bernadette Nicotra a quelle ordinate dalle famiglie coinvolte, i Romagnoli, i von Freymann e i Genovese. Pietro, alla guida del grande Suv di papà Paolo, o meglio intestato a una sua società cinematografica, era in grado di vedere in tempo le due adolescenti mentre attraversavano corso Francia? Il suo stato di alterazione psico fisica, vale a dire il vino bevuto con gli amici e le varie droghe assunte, sono state determinanti sui suoi tempi di reazione? E la velocità dell’auto, ben oltre i limiti imposti dal codice e dal buonsenso (pioveva e non si vedeva nulla), era tale da rendere impossibile la frenata? Non solo. Gli esperti della Procura e delle parti coinvolte dovranno dimostrare quanto abbia influito, di fatto, il «cono d’ombra», cioè il buio pesto sulla carreggiata nel punto del drammatico impatto. Anche se, va detto, la Smart guidata da David Rubin Mosche si ferma davanti alle 16enni nonostante ci siano le stesse condizioni stradali, bagnato e buio. In attesa delle dichiarazioni di Genovese, il prossimo 2 gennaio davanti al pm, parlano i passeggeri. Sono i due giovani a dire, urlando, di fermarsi dopo l’urto. Lo avevamo già scritto ieri, a parlare per primo, preso a sommaria informazione dai vigili urbani del gruppo Parioli, è Davide Acampora. Il ragazzo sulle prime non vuole collaborare, probabilmente è sotto choc per l’accaduto, poi racconta di aver visto le due sagome volare in aria e il crossover spegnersi sulla rampa di accesso all’Olimpica. Poi ci sarebbero le parole di Tommaso Edoardo Fornari Luswergh. Dopo una settimana anche Fornari racconta delle urla all’interno dell’auto subito dopo, e non prima, dell’incidente. Dunque Pietro Genovese, sconvolto e poco reattivo a causa della sbronza (il tasso alcolemico era 1,4 mg/litro, tre volte tanto il massimo consentito), non si sarebbe fermato? Voleva fuggire, omettendo il soccorso, nonostante l’urto violentissimo? Di certo non è lui a prestare aiuto per primo, anche se gli agenti lo trovano sul posto quando arrivano. Lo racconta il gestore della bisteccheria di fronte, Alessio Ottaviano, del «T Bone Station». Fornari Luswergh, seduto sul sedile posteriore, sta chattando con il telefono. Sente lo schianto, vede persino il cofano sollevarsi, poi urla anche lui di fermarsi. Tutto inutile. Camilla e Gaia sono morte, gli arti devastati dal forte impatto, il sistema di sicurezza della macchina in pochi istanti si attiva e «spegne» il motore. L’auto ha percorso 250 metri verso lo svincolo della Tangenziale. Secondo un testimone, Emiliano Annichiarico, «l’auto procedeva a un’andatura esageratamente sostenuta, credo che il conducente abbia tentato di frenare nel momento in cui ha percepito la presenza dei pedoni in quanto la parte anteriore si è lievemente inclinata in basso, malgrado ciò l’impatto è stato inevitabile e violentissimo...». I rilievi dei vigili urbani non avrebbero trovato segni di frenata. Nemmeno le immagini delle telecamere piazzate sul marciapiede (troppo lontane) hanno fornito elementi utili alle indagini. Per i due passeggeri della Koleos l’urto sarebbe stato improvviso e inevitabile.

Le vittime sarebbero state coperte alla vista dalle altre auto che sopraggiungevano sulla corsia centrale, alla destra di Genovese. Saranno gli esperti, a questo punto, a ricostruire la dinamica esatta. Ancora da stabilire se il 20enne al volante stesse anche lui chattando quando Camilla e Gaia sono state colpite.

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