Roma«Non mi piace che si dica staccare la spina, perché non è di questo che si tratta. E qui il caso di Eluana Englaro non centra niente. Qui si tratta di non fare cose da cui il bambino non ottenga nessuna utilità o beneficio, ma che prolungherebbero inutilmente la sua sofferenza». Sul caso di Treviso Claudio Fabris, presidente della Società italiana di neonatologia, non ha dubbi.
La scelta della dottoressa Battajon è stata giusta, quindi?
«Direi proprio di sì, visto che sul punto stiamo a quanto previsto da un documento del Consiglio superiore di sanità uscito a febbraio, e al quale ho collaborato: dare a tutti, quando si è in situazione di estrema prematurità o, come in questo caso, di gravi malformazioni, ogni possibile cura per la vita del bambino. Ma per la vita. Quando invece proseguire le cure significa sfociare nellaccanimento terapeutico, non si fa altro che protrarre una sofferenza».
E dunque meglio interrompere le cure?
«Bisogna passare a cure compassionevoli che accompagnino alla morte, inevitabile, dando il maggior supporto possibile al bambino e, soprattutto, alla famiglia».
A Treviso quando non cera più nulla da fare hanno avvertito i genitori, chiedendo alla madre se voleva tenere in braccio il neonato per gli ultimi momenti. Cosa che la madre, in extremis, ha voluto fare.
«Ecco, lunica cosa che penso è che forse i genitori dovevano già essere insieme al piccolo. Perché è fondamentale secondo me che proprio i familiari siano fin dallinizio resi il più possibile partecipi. Da noi per esempio hanno diritto di stare nel reparto di terapia intensiva 24 ore su 24, e hanno un badge per entrare senza nemmeno suonare il campanello».
Sono presenze essenziali quanto i medici?
«Se vengono coinvolti fin dallinizio, è più semplice prendere decisioni condivise: ci si rende conto assieme a loro della situazione, e a quel punto è chiaro a tutti quando determinate cure non sono più utili.
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