SCIARRELLI L’architetto delle onde

La sua Trieste dedica una mostra al grande designer di barche scomparso un anno fa

SCIARRELLI L’architetto delle onde

nostro inviato a Trieste
Carlo Sciarrelli è stato il mago delle barche italiane, «l’architetto del mare», come venne ribattezzato all’indomani della sua lectio magistralis allo Iuav di Venezia in occasione della Laurea ad honorem in architettura navale. Allora Sciarrelli stava per compiere settant’anni e nulla lasciava presagire la malattia che di lì a non molto se lo sarebbe portato via. Era nato a Trieste nel 1934, figlio di ferrovieri e ferroviere a sua volta, ma fin da ragazzino il mare era stata la sua seconda casa e la sua ragione di vivere. Ai moli dello Yacht Club Adriaco aveva assaporato il fascino delle barche, nel Golfo giuliano aveva iniziato a bordeggiare con un beccaccino, una deriva che gli aveva permesso di addentrarsi nei segreti della navigazione.
Autodidatta, il piacere dell’andare a vela si trasformò via via nel desiderio di capire e di mettere in pratica, nell’ansia di perfezione propria di chi, per tutta la vita, cercò la sintesi che gli avrebbe permesso di realizzare quella che, con pudica ironia, chiamava «la barca di Dio», la più bella e la migliore quanto a prestazioni. Negli ultimi anni, chi aveva la fortuna di andarlo a trovare nella sua bella casa di Trieste si trovava di fronte una biblioteca di più di mille volumi, antichi e moderni, sulla marineria, alle pareti una collezione di settanta ship’s portraits, quadri di velieri d’epoca, modellini in scala... Un suo libro, Lo yacht, pubblicato nel 1970 da Mursia e da allora sempre ristampato, rimane un cult book della nautica italiana, fonte inesauribile di osservazioni illuminanti, una guida su come si dovrebbero guardare e analizzare le barche, scritto con stile, passione, ironia.
Era un uomo piacevole, Sciarrelli, anche se non era un uomo facile, pungente e polemico, riservato e però divertente. «Le barche si decidono meglio con i piedi sotto un tavolo» era solito dire a chi andava da lui perché avrebbe voluto che gliene progettasse una. La convivialità, il sentirsi parte di un sentimento comune, era per lui la conditio sine qua non per accettare un lavoro... A venticinque anni restaurò la sua prima barca, una passera costruita negli anni Trenta sull’isola di Veglia, che chiamò Aspasia; a ventisei costruì quell’Anfitrite con la quale vinse in pratica un po’ tutte le regate cui partecipò. Il progettista nacque allora e nella sua vita mise al mondo, ovvero in acqua, 140 barche, mentre dai suoi progetti vennero realizzate più di quattrocento imbarcazioni.
Adesso che, a un anno dalla scomparsa, Trieste gli dedica questa bella e un po’ commovente mostra, «Carlo Sciarrelli. Architetto del mare» (fino al 2 dicembre), è l’occasione buona per entrare meglio nello spirito di chi aveva coniato per le sue creazioni e per il suo modo di essere due definizioni: «Il bello non è nuovo, il nuovo non è bello» e «Sono colto e ho memoria».
Voluta fermamente dall’assessore comunale alla Cultura Massimo Greco, come omaggio a una figura d’eccezione, figlia di una città «legata al mare come forse nessun’altra città italiana, dove la barca non è tanto simbolo di condizione reddituale, ma piuttosto uno stile di vita», allestita negli spazi del recuperato Museo del Mare, un gioiellino di archeologia industriale sulle Rive cittadine, la mostra si snoda lungo un percorso che fra installazioni video, fotografie, modelli in scala, testimonianze e documenti scritti racconta una passione esclusiva.
Torniamo a quelle due frasi prima citate. Non era un passatista, Sciarrelli, non era un feticista del buon tempo andato. Più semplicemente, era uno che per storia e cultura sapeva cosa fossero il mare, la vela, la marineria. «Progetto molte barche di tipo vecchio perché sono colto e ho memoria. Adesso nessuno ha memoria, nessuno ricorda. Si riparte ogni volta da zero, come se andare a vela non fosse un esperimento che si fa da molto tempo. Non è moderno avere una barca con poco equipaggio. Non è moderno avere una barca con le murate in cui è piacevole stare dentro. È moderno stare sopra una barca scomoda, leggerissima, con molte vele, pericolosa, con verricelli per manovrare. Se uno chiede di evitare i winches e avere vele poco faticose, gli antichi hanno trovato le risposte, i moderni no».
È anche per questo che Sciarrelli preferiva alla consueta dizione «barche da crociera», quella di «barche per viaggiare», ovvero un andare per mare che fosse qualcosa di più e di diverso di una gita, uno svago, una vacanza o un’ostentazione, ma qualcosa di spirituale, intenso e profondo che è proprio dell’idea del viaggio e del viaggiatore, sulla scia di Le Voyage di Baudelaire e del suo «Notre âme est un trois-mâts cherchant son Icarie»... E non è un caso che gran parte delle sue creazioni venisse battezzata con nomi della classicità, Aglaja, ovvero la Splendente, la Grazia figlia di Giove e di Eurinome; Anfitrite, la ninfa marina figlia di Nereo e Doride; Sagittario, la costellazione che accoglie il centauro Chirone...
Il disprezzo per la modernità in quanto tale e la consapevolezza che nel passato c’è la chiave per pensare il presente e preparare il futuro, non significarono mai per Sciarrelli il privilegiare la forma a scapito della sostanza, l’innamorarsi della linea di uno scafo senza preoccuparsi di come si sarebbe comportato in acqua. L’estetica, la bellezza è per lui qualcosa che unisce e sublima il piacere dell’occhio e quello del navigare, è la barca che risponde bene al timone, sfrutta al massimo il vento grazie alle vele di cui dispone e dà allo stesso tempo un’impressione di levità, di grazia: scivola sul mare come se danzasse, danza come se questo non le costasse alcuna fatica.
Se si osservano le barche da regata da lui disegnate negli anni Settanta, di carena fine ed equilibrata, con prua piena e poppa stellata, a «V» profonda, si vedrà che sono barche che si aprono la via scavandosi un solco fra le onde, con lo scafo saldamente sostentato dall’acqua, e non volanti su di essa, trascinate da una vela enorme con l’equipaggio impegnato allo spasimo per mantenere un precario equilibrio...
Una delle immagini della mostra rende giustizia al genio di Sciarrelli più di mille dotte dissertazioni. È di una Barcolana di qualche anno fa, la celebre regata di quindici miglia che si fa nel mese di ottobre nel Golfo di Trieste e a cui partecipano imbarcazioni a vela di tutti i tipi e da tutto il mondo. La foto, scatta dal Faro della Vittoria, racconta la regata nel momento in cui un colpo di bora mette sottosopra il campo di navigazione. Si vede Tiziana, che Sciarrelli ha disegnato e sulla quale Sciarrelli è imbarcato, le vele ridotte al solo fiocco, sbandata al punto giusto e che continua splendidamente a navigare a nove nodi di velocità, mentre le altre barche spariscono all’orizzonte perché non riescono a rimontare il vento... Poco distante, l’obbiettivo inquadra una di quelle barche tutte griffate e sponsorizzate, ferma immobile con la prua sotto l’acqua e la poppa fuori.

Sembra di sentire la voce di Sciarrelli: «Oggi vogliono queste barche perché sono pubblicizzate, perché “vanno”! E io non so fare queste barche. Come posso disegnare una forma come questa che io so, che se c’è vento, si ribalta così?».

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