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Scienza: l’elisir di lunga vita? Esiste ed è nell’Isola di Pasqua

Secondo una ricerca americana nel terriccio di Rapa Nui il segreto dell’immortalità. Testata sui topi la "rapamicina" blocca l’invecchiamento e allunga l’esistenza di un terzo. Ora si sperimenterà sull’uomo

Scienza: l’elisir di lunga vita? 
Esiste ed è nell’Isola di Pasqua

Ciecamente sogniamo di superare la morte attraverso l’immortalità, anche se da sempre la vita eterna ha rappresentato la peggiore delle condanne. È uno dei grandi insegnamenti del filosofo della surmodernité Jean Baudrillard. Eppure è da quando è nato che l’uomo cerca di non morire, sicuro che si tratti di una benedizione. E inseguendo, sempre più assetato, il miraggio dell’elisir di lunga vita, nel corso dei secoli ha inciampato nel mito, come quello di Enoch e Thot, si è perduto negli insegnamenti esoterici di Ermete Trismegisto, si è bruciato coi segreti alchemici o si è illuso, romanzescamente, di poter possedere il segreto dell’eterna giovinezza, con i tratti puri e gentili di un Dorian Grey. E quando si è risvegliato dal sogno prometeico, non è rimasta che la fanta-scienza.
Tra cellule staminali, nuovi anticorpi, nanotecnologie e ingegneria genetica, i progressi della medicina stanno allargando di giorno in giorno i confini dell’esistenza, fino a sporgersi, rischiosamente, sul baratro dell’immortalità.

Secondo uno studio pubblicato sul nuovo numero della rivista inglese Nature - una bibbia della scienza, se l’espressione non apparisse una contraddizione in termini - il segreto della vita eterna si nasconderebbe nel terreno dell’Isola di Pasqua, un luogo non a caso magico che galleggia tra l’Oceano Pacifico e la leggenda. Una ricerca condotta da un gruppo di scienziati americani dell’università San Antonio del Texas in collaborazione con l’Università del Michigan e l’«Ann Arbor and Jackson Laboratory» di Bar Harbor, nel Maine, ha dimostrato che grazie a una sostanza medicinale il cui principio è estratto dal terriccio della lontana Rapa Nui, si può bloccare il processo di invecchiamento e prolungare la vita di oltre un terzo. Il farmaco, chiamato Rapamycin, a base di rapamicina, la cui scoperta risale agli anni Settanta, è stato somministrato a un campione di topi di laboratorio di età avanzata, 600 giorni di vita, l’equivalente di 60 anni nell’uomo. La loro aspettativa di vita si è estesa tra il 28% e il 38% - ovvero l’equivalente di circa 6-9 anni nell’uomo.

Ora gli studiosi sperano che un giorno la rapamicina - già usata proprio per le sue caratteristiche di immunosoppressione per prevenire il rischio di rigetto nei pazienti cui è stato trapiantato un organo - riesca a rallentare l’invecchiamento anche nell’uomo. Ma va superato un importante ostacolo: la sostanza sopprime le difese immunitarie, rendendo sì più giovani ma anche più vulnerabili alle malattie. Il dottor Arlan Richardson, direttore del «Barshop Institute for Longevity and Aging Studies» ha dichiarato: «Non ho mai visto una sostanza così promettente nel fermare l’avanzata dell’età. La rapamicina potrebbe essere proprio l’elisir di giovinezza che abbiamo sempre cercato». E secondo il professor Randy Strong, dello «Health Science Center» dell’Università del Texas, «questa è la prima prova convincente a dimostrazione che la vita può essere allungata con una terapia farmacologica». Come ha osservato Randy Strong, a capo dell’«Aging Interventions Testing Center» di San Antonio, se la rapamicina dovesse funzionare, la riduzione dei costi della sanità in tutto il mondo - il sogno di tutti i governanti - sarebbe di proporzioni enormi.

Arrampicandosi con caparbietà lungo la curva della longevità, a fronte di un potenziale che la medicina fissa attorno ai 120 anni, l’aspettativa di vita nel corso dei millenni è passata dai 16 anni dell’uomo delle caverne ai 20 anni del 500 a.C., ai 35 del 400 d.C. fino ad alzarsi, lentamente, ai 47 anni degli inizi del Novecento, ai 59 del 1930, ai 71 del 1975 impennandosi a toccare i 78-80 di oggi. Le previsioni dicono che raggiungeremo i cento anni nel 2020. Ma c’è anche chi è pronto a spingersi ancora più in là, come gli esperti dell’ospedale San Raffaele di Milano. In un articolo scritto nel novembre scorso per Kos, la rivista del prestigioso istituto di ricerca, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, un ottimista per natura, ha ipotizzato la possibilità di arrivare a vivere, grazie ai progressi della scienza, sino a 120 anni: «Con la medicina preventiva, con il controllo a distanza, con l’esame del Dna, con l’utilizzazione delle cellule staminali, con un conseguente razionale stile di vita ogni soggetto sarà nella condizione di conservarsi sano ed efficiente molto più a lungo». Secondo il premier una scienza che fa sperare in una vita più lunga non deve spaventare: «Chi si occupa di politica, cioè degli altri, dovrebbe impegnarsi anche su questo fronte: perché il tempo che l’uomo sta guadagnando si possa vivere nel migliore dei modi e con tutte le opportunità possibili».

L’immortalità è il sogno più ambizioso dell’umanità. Dal taoismo cinese alle nuove frontiere della criogenesi l’uomo l’ha cercata ovunque. E non potendola afferrare fisicamente nella realtà, l’ha (momentaneamente) spostata nel regno limitrofo della metafisica, che si chiama Aldilà o resurrezione, oppure in quello della fantasia: dal folklore dei vampiri all’Highlander cinematografico Christopher Lambert. Fino all’invincibile Manji, protagonista di un manga di culto creato da Hiroaki Samura. È un samurai che non può invecchiare perché un verme che vive in simbiosi col suo corpo blocca il naturale processo di invecchiamento, rimarginando qualunque ferita inflittagli. Anche lui, come tutti gli immortali, cerca disperatamente di morire.
Chi invece vuole disperatamente sopravvivere al tempo e al destino, può provare - non appena sarà in commercio - il magico farmaco della misteriosa Isola di Pasqua. Oppure, nell’attesa, provare la gynostemma pentaphylum, un’erba le cui proprietà antiossidanti superano di almeno quattro volte quelle del ginseng. In Cina, dove è molto diffusa, è chiamata jiaogulan, la «pianta-che-vince-la-morte». Ricordandosi, però, che questo straordinario dono non è sufficiente, come insegna il mito greco di Titone. Eos, l’aurora, che lo amava follemente, chiese a Zeus di donargli l’immortalità. Ma dimenticandosi di richiedere anche l’eterna giovinezza, fu condannata a vedere il suo amato diventare sempre più vecchio e privo di forze. E così ottenne che fosse trasformato in cicala.

Un animale che nelle favole vive spensieratamente il presente, senza timori per il futuro.

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