3I/ATLAS: la cometa che attraversa Marte e la nostra stupidità

La scoperta diventata virale sui social e il via alle teorie del complotto

3I/ATLAS: la cometa che attraversa Marte e la nostra stupidità

Negli ultimi giorni, aprendo Instagram, sembrava che gli alieni avessero finalmente deciso di uscire allo scoperto: post e reel ovunque, video con musiche apocalittiche e scritte lampeggianti tipo “La NASA non vuole che tu lo sappia”, “Una nave aliena diretta verso la Terra”, “Il mistero di 31 Atlas”. Già, 31 Atlas, che in realtà si scrive 3I / ATLAS, ma molti (compresi certi giornali) hanno scambiato la I per un numero (non verificano neppure come si chiama, figuriamoci cos’è), e da lì è partita la solita epidemia di alieni digitali, scienziati improvvisati, influencer cosmologici e cospirazionisti che si credono Galileo con un video su Tik Tok.

Il problema è che, come sempre, tutto comincia con un mistero, e come sempre il mistero non è mai un segreto: è solo qualcosa che non abbiamo ancora capito (e quando la capiremo non sarà niente di positivo per noi e le nostre vite, che restano quello che sono). Per molti è più rassicurante credere al soprannaturale che all’astrofisica, e nel soprannaturale ci sono finiti anche gli alieni (regolarmente pensati come esseri superiori, dei batteri su Marte non interessano a nessuno a parte alla scienza). Casi analoghi? Una valanga. Tipo quando nel 1977 un astronomo dell’Ohio registrò un segnale anomalo e scrisse “Wow!” sul foglio: da allora è rimasto il segnale Wow!, l’urlo del nulla trasformato in contatto. Negli anni Sessanta si pensava che le pulsar fossero trasmissioni di civiltà aliene, le chiamarono persino Little Green Men, finché non si scoprì che erano stelle di neutroni. Nel 2017 arrivò Oumuamua, che per alcuni era una sonda aliena e per altri un sasso interstellare, nel 2019 Borisov, e ora, nel 2025, la protagonista è 3I / ATLAS, già promossa sui social a navicella di passaggio.

Solo che 3I / ATLAS non ha nulla di misterioso, se non il fatto che sia incredibilmente interessante proprio perché naturale: scoperta il primo luglio 2025 dall’osservatorio ATLAS in Cile, secondo la NASA, raggiungerà il suo punto più vicino al Sole il 30 ottobre, a circa 210 milioni di chilometri, e sarà visibile nei telescopi di tutto il mondo. La cosa curiosa è che emette circa 40 chilogrammi di vapore acqueo al secondo (un fenomeno sorprendente, a quella distanza il ghiaccio non dovrebbe neppure sublimare, e gli astronomi sospettano che nel suo nucleo ci sia una concentrazione insolitamente alta di materiali volatili, o una crosta spaccata che permette al calore di penetrare più in profondità.

Nel frattempo le sonde dell’ESA, tra cui Mars Express e ExoMars Trace Gas Orbiter, hanno ripreso la cometa mentre attraversava l’orbita di Marte e le prime analisi hanno confermato che la traiettoria è iperbolica, tipica di un corpo proveniente da un altro sistema stellare. Tuttavia: nessuna spinta artificiale, nessun segnale radio, nessuna tecnologia aliena, nessuna astronave: è una cometa che fa la cometa, anche se con un comportamento più vivace del previsto. Alcuni scienziati ipotizzano che 3I / ATLAS provenga da un sistema binario, dove un’interazione gravitazionale l’ha espulsa nello spazio milioni di anni fa, ma tutto questo, naturalmente, è troppo complesso per i social.

Sociologicamente l’hashtag #31Atlas è esploso perché era sbagliato: migliaia di utenti, convinti di aver scoperto la verità nascosta della NASA (ah, le verità nascoste!), hanno iniziato a postare video con la voce robotica che annuncia “contatto imminente”, immagini generate da IA e titoli tipo “Gli scienziati tacciono”, insomma, ragazzi, sempre lo stesso copione: si parte da un fatto, lo si semplifica fino a renderlo assurdo, si esclude ciò che non piace con la narrazione, lo si trasforma in fede. D’altra parte la religione del click (come tutte le religioni in passato) ha bisogno di un miracolo al giorno.

La comunità scientifica, intanto, osserva e misura in silenzio: 3I / ATLAS non è un messaggio, ci mostra invece come appaiono i frammenti di altri sistemi stellari, e ci ricorda che lo spazio non è pieno di segreti ma di distanze, distanze che non riusciamo neppure a immaginare. Perfino la luce, la cui velocità è trecentomila chilometri al secondo, è lenta nello spazio, solo che le distanze non si viralizzano.

Diventa virale che gli alieni ci stiano cercando, oppure (questo sul serio) siamo noi a cercarli: dal messaggio di Arecibo del 1974, alla placca dorata delle Voyager nel ’77, fino ai messaggi più recenti del progetto SETI, continuiamo a inviare saluti nello spazio, sperando che qualcuno li intercetti. Le probabilità che qualcuno ci senta sono ridicole: un segnale inviato oggi potrebbe essere ricevuto tra mille anni, o tra un miliardo, o mai.

E comunque, anche ammesso che arrivi un messaggio, siamo sicuri di sapere chi stiamo chiamando? È una cosa che mi chiedo sempre rispetto agli scienziati (come quelli del SETI) che inviano segnali aspettandosi una risposta: siamo davvero certi (nell’ipotesi di una civiltà aliena relativamente vicina e molto più avanzata di noi che emettiamo segnali radio solo da poco più di un secolo) la nostra chiamata la riceva E.T. e non Alien? Per carità, io per la poco simpatia che ho per la specie umana preferirei Alien.

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