Marte, indizi di vita: ecco cosa c’è davvero dietro l’annuncio Nasa

È vero, abbiamo trovato tracce chimiche interessanti. Ma tra questo e avere un fossile di microbo c'è un abisso

Marte, indizi di vita: ecco cosa c’è davvero dietro l’annuncio Nasa

Quando esce un articolo su Nature Astronomy che parla di “potenziali biosignature” su Marte, la NASA manda i comunicati stampa, i giornali si eccitano, Twitter (X, come cavolo è stato rinominato quell’uccellino carino) esplode di “abbiamo trovato la vita su Marte”, e io penso sempre la stessa cosa: ok, andiamo a leggere, per riportare gli entusiasti marzianofili con i piedi per terra. È vero, abbiamo trovato tracce chimiche interessanti: segnali di carbonio organico sufficientemente preservato da essere rilevato, minerali che sulla Terra associamo a reazioni metaboliche microbiche, ma tra questo e avere un fossile di microbo in mano c’è un abisso.

Il rover Perseverance, nella formazione Bright Angel del cratere Jezero (il quale pare fosse un lago), ha individuato noduli e fronti di reazione ricchi di vivianite (fosfato di ferro ridotto) e greigite (solfuro di ferro), oltre a ferro, fosforo, zolfo e segnali Raman di materia organica aromatica (non nel senso che potete condirci la pasta). Tutti questi elementi sono organizzati in strutture millimetriche che raccontano di processi redox avvenuti a bassa temperatura in un ambiente saturo d’acqua, condizioni che sulla Terra troviamo in zone dove microbi riducono ferro o solfati. Per questo il campione Sapphire Canyon, prelevato proprio in quell’area, viene considerato dagli autori il miglior candidato per cercare potenziali biosignature quando (e se) sarà analizzato nei laboratori terrestri. Perché il problema è che Perseverance analizza fino a un certo punto, dobbiamo aspettare una missione, tecnicamente non banale, per mandare un rover che prelevi campioni e li riporti qui.

Gli scienziati che hanno firmato il paper sono molto cauti: spiegano che vivianite e greigite possono formarsi anche in assenza di vita, solo grazie a chimica geologica se ci sono ferro, zolfo, fosforo e le giuste condizioni. Inoltre chiariscono che la materia organica potrebbe avere origine abiotica, arrivare da meteoriti o essere il prodotto di reazioni chimiche non biologiche. Senza analisi isotopiche e studi di laboratorio non si può dire se queste tracce siano davvero biologiche. Nel paper la prudenza è esplicita, solo che poi arrivano i comunicati NASA, le grafiche animate, i titoli dei giornali, e sembra quasi che stiamo già stappando lo champagne per la scoperta della vita, il che serve anche (diciamolo) a ricordare a tutti perché vale la pena finanziare il ritorno dei campioni, progetto che al momento ha problemi di budget, e tra l’altro non è molto popolare nel momento economico globale dire alla gente che spendiamo miliardi per qui dei sassi da marte.

È stato detto che è la prima volta che siamo così vicini ad aver trovato tracce di vita nel nostro sistema solare: è vero, perché la somma degli indizi è più coerente che in passato. Amedeo Balbi, per dare un numero, ha parlato di un “tre su dieci” sulla scala della probabilità di avere trovato qualcosa di biologico. Effettivamente è così: siamo davvero un po’ più vicini. Tuttavia, come dichiara Balbi, è un po’ come se uno iniziasse a fare lezioni di tennis e dicesse che è la prima volta che è più vicino a diventare il numero uno del mondo come Sinner. Rende l’idea. (A proposito, se siete interessati alla nascita della vita, vi segnalo il libro Dalle stelle alla cellula, del biologo e straordinario divulgatore Francesco Cacciante, di prossima uscita per Apogeo).

La parte scientificamente più interessante è che questi risultati ci indicano dove cercare: i solfati funzionano da custodi ideali per preservare molecole organiche, e il contesto sedimentario di Bright Angel è perfetto per trovare materiale integro. Ma appunto finché i campioni non saranno analizzati sulla Terra, resta chimica affascinante, non paleontologia marziana.

È in ogni caso preferibile che gli scienziati restino rigorosi invece di lanciarsi in annunci troppo ottimistici. Il rischio altrimenti è che quando troveremo una biosignature inequivocabile, non se ne accorga nessuno perché ci saremo abituati a sentir dire “abbiamo trovato la vita su Marte” ogni due anni. Marte resta il nostro miglior laboratorio per capire se la vita può emergere altrove, per ora ci dice solo che c’erano acqua, nutrienti, gradienti chimici, e una scena perfetta per la vita (miliardi di anni fa, sebbene qualche microrganismo potrebbe ancora esserci, vallo a pescare però).

Il resto lo vedremo: sarebbe affascinante scoprire tracce di vita microbica marziana, sebbene l’allunaggio e le varie missioni Apollo furono un successo americano perché c’era la competizione con l’URSS,

in questo momento siamo così geopoliticamente incasinati che le tracce di microbi su Marte non sono un argomento molto popolare per noi organismi multicellulari umani che cercano di evitare una guerra mondiale sulla Terra.

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