da Roma
Il programma è sintetizzato in quattro parole: «Dare rappresentanza ai moderati». Lobiettivo è molto ambizioso, portare lUdc in doppia cifra. Pier Ferdinando Casini dunque è di nuovo in pista: a pochi mesi dal voto, lascia il gruppo misto e torna al partito. Sarà capolista in tutte le circoscrizioni. «Con lui possiamo sognare il dieci per cento - dice il segretario Lorenzo Cesa -. Palazzo Chigi? Partiamo svantaggiati, però la campagna elettorale è aperta». Ma Casini è moderato e quindi frena: «Se mi proponessi come leader del centrodestra non avrei capito niente, non sono in competizione con Fini, Tremonti o Pisanu. In politica non si può programmare con troppa razionalità, perché i fatti a volte hanno il sopravvento sulle ambizioni».
Niente fronde al Cavaliere, quindi: «Marciare divisi per colpire uniti». E niente Grande Centro: «La Grosse Koalition in Germania è stata un fatto di necessità. A me piace la normalità democratica, con una maggioranza che governa e unopposizione che svolge un ruolo di controllo. Questo serve allItalia». Quello che non servono invece sono le risse. «LItalia ha bisogno di responsabilità e verità - spiega - e ha bisogno di uomini politici che non considerino nemici gli avversari. Bisogna capire che, anche in chi la pensa diversamente da te, ci può essere un frammento di verita». Insomma, troppi veleni: «Siamo partiti con il piede sbagliato: Mi auguro che la campagna elettorale sia fatta di contenuti, perché queste liti non servono né ai partiti né ai cittadini. Ora torno nella mia casa, quella dei cristianodemocratici dellUdc, e ci torno con il mio stile e con quello che ho imparato da presidente della Camera. Un incarico che non rinnego perché è stata una grande esperienza al servizio del Paese».
Un Paese che a Casini «piace molto». «Sì - racconta - sono davvero orgoglioso quando vedo di cosa sono capaci gli italiani, sono orgoglioso quando vedo il tricolore nelle aree più disagiate del pianeta. Quanti giovani, e con quali professionalità». Uno Stato che rimarrà unito, nonostante la riforma della Costituzione. «Io non capisco perché esulti la Lega, con questa devolution - dice ancora il presidente della Camera -. La legge che è uscita è infatti il frutto di un braccio di ferro nella maggioranza. Rispetto alla sua versione iniziale è stata modificata tanto». È cambiata e si è ammorbidita, precisa, anche grazie ai centristi, che hanno insistito sulla clausola dellinteresse nazionale.
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