Lo sciopero per finta dei furbetti del pallone

Un week end da buffoni. Tutti assieme appassionatamente. Sciopero del calcio? No, differimento della giornata, come ripetono i pappagalli del football. Una balla colossale, una storia all'italiana. Ieri sera ricchi premi e cotillons per Inter-Chievo (2-3) e Napoli-Palermo (3-1), partite amichevoli, roba di serie A, con arbitri, messi a disposizione dalla federazione sempre pronta a tutto, e pubblico, sempre pronto ad abboccare. Calcio giocato dagli stessi che ventiquattro ore prima avevano annunciato di non scendere in campo, perché così non si può andare avanti, basta. Il tempo di aggiustarsi il cerchietto tra i capelli e di ungersi di olio i muscoli et voilà, basta un fischio e il pallone rotola, la carta dei lavoratori serve ad altro.
Robette dello stesso tipo sono accadute altrove: l'Atalanta ha giocato contro la Tritium, il Bologna contro lo Zola Pedrosa, il Novara contro il Lecco, il Parma contro il Carpenedolo, il Siena contro il Poggibonsi, il Cagliari contro la formazione primavera. Le altre saltano l'allenamento della domenica, la Fiorentina, unica ad avere una linea retta, saggia, coerente nel cabaret di saltimbanchi, ha respinto la richiesta di Mihajlovic di radunare la squadra e di allenarla.
I furbetti del palloncino si sono fatti immediatamente riconoscere: non vogliono pagare il contributo di solidarietà ma sono solidali a evitare la trattenuta sullo stipendio, anche perché l'allenamento è lavoro, anche se non risulta esistano campi di lavoro, o no? Scioperano per finta, si armano ma non partono, tutte chiacchiere e distintivi. I presidenti severi e combattenti diventano complici del nemico, il kafkiano Moratti non molla gli scudetti ma si arrende per un'amichevole e si ritrova sodale di Zamparini, De Laurentiis e Campedelli, i quali giocano su due tavoli, fingono sconcerto ma permettono ai loro scioperaioli di cavarsela in calcio d'angolo. Tommasi Damiano ha la faccia da martire, come Ulivieri Renzo, sono loro i rappresentanti delle due categorie in crisi, calciatori e allenatori.
Se il sindacato avesse davvero idee chiare e strategia coerente avrebbe potuto mettere in atto una forma di protesta davvero clamorosa: niente allenamenti, ad oltranza, nelle sedi ufficiali, così da mettere in crisi anche gli allenatori; ginnastica, partitella e tiri in porta in altri siti, campi di periferia, palestre, polisportive disposte ad aprire (scommetto gratuitamente) i cancelli ad una popolazione così illustre. Ma questa protesta avrebbe portato a una decurtazione del salario e se la classe operaia non va in paradiso figuratevi quella dei calciatori che dal paradiso non vuole allontanarsi nemmeno in caso di strage. Esistono precedenti in tribunale, vinsero i calciatori. E così il parasciopero è andato in onda, alla faccia dei tifosi milanisti, leccesi, palermitani, genoani ad esempio,che avevano in tasca il biglietto aereo o ferroviario per le trasferte di Cagliari, Milano, Novara, Napoli (chi li rimborsa? L'Alitalia? Le Ferrovie dello Stato? Lasciamo perdere).
La notte deve aver portato scompiglio perché alcuni dirigenti hanno smentito il loro capo di Lega, Beretta, suggerendo un accordo ponte, un tavolo di urgenza, una pace in extremis, insomma il solito teatrino politico nostrano nel quale Don Abbondio sarebbe una comparsa. Ci siamo fatti riconoscere dovunque, fatichiamo a risalire il ranking Fifa ma abbiamo molti giri di vantaggio nella classifica dei cialtroni. Non c'è un solo rappresentante dei calciatori che abbia fatto il bel gesto di destinare la giornata di parasciopero ai parenti dei loro colleghi scomparsi precocemente per malattia. Non c'è stato un presidente che abbia ammesso pubblicamente di avere disatteso l'ìmpegno assunto a suo tempo.

Né Rai, né Sky, né Mediaset, che tengono in vita i bilanci dei club, hanno annunciato, nemmeno sussurrato, di citare per danni le società. E questa è La Quinta Azienda del Paese, con un risultato di esercizio in rosso di 450 milioni di euro e debiti per 2 miliardi e 95 milioni.

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