Scivolano i mercati, in Borsa torna la paura

Passare dall’euforia alla depressione fa parte del dna delle Borse. La peggior crisi dagli anni Trenta ha però reso i mercati ipersensibili a mutazioni repentine. Così, del rally impetuoso con cui Wall Street aveva salutato giovedì il ritorno alla crescita dell’economia Usa tra luglio e settembre (+3,5%) dopo quattro trimestri consecutivi di buio recessivo, ieri non è rimasta traccia. Cancellato a colpi di ribasso, sommerso da un’onda anomala che si è infranta anche sui listini europei, costretti a pagare dazio (altri 90 miliardi di euro di capitalizzazione andati in fumo dopo i 93 miliardi già bruciati mercoledì scorso) a causa di flessioni comprese tra l’1,8% di Londra e il 3,13% di Milano (-6% in settimana). A New York, sia il Dow Jones, sia il Nasdaq sono crollati del 2,5%.
Nella corsa alla vendite di ieri c’è qualcosa di paradossale. I rialzi di giovedì erano stati sorretti, appunto, dalla ripartenza della locomotiva statunitense. Traduzione elementare: la crisi è dunque al capolinea. L’espansione del Pil era però frutto, soprattutto, dell’aumento dei consumi privati. Con un particolare non irrilevante: la ripresa dello shopping era diretta conseguenza degli incentivi alla rottamazione delle auto. Insomma, un recupero drogato o, quanto meno, artificiale. Infatti: con il venir meno degli aiuti, i nodi sono subito venuti al pettine. Le spese personali sono calate negli Stati Uniti in settembre dello 0,5% dopo il +1,3% di agosto. E i mercati si sono subito chiesti: è sostenibile questa ripresa? No, a giudicare dalla loro reazione.
Il fatto è che la propensione agli acquisti da parte dei consumatori Usa resterà problematica fino a quando non si saranno sciolti i nodi del mercato del lavoro. Nessun tappo di spumante era infatti saltato l’altroieri alla Casa Bianca per festeggiare il ritorno alla crescita del Pil. Quattordici milioni di americani a spasso sono un buon motivo per tenere ancora la bottiglia in frigorifero. La disoccupazione non è un problema solo americano. Ieri Eurostat ha diffuso dati da bollettino di guerra: il tasso dei disoccupati in settembre è salito al 9,6% nell’euro zona, il livello più alto dall’introduzione della moneta unica, e al 9,2% nell’insieme dell’Unione. Preoccupa la progressione rapida e apparentemente incontrastabile con cui si è deteriorato il mercato del lavoro: due punti percentuali in più rispetto a un anno fa non si possono ignorare perché equivalgono a 5 milioni di posti bruciati, di cui tre nella sola area euro. Nel complesso, sono oltre 22 milioni le persone prive di un impiego nel Vecchio continente. E l’Italia? «È meglio piazzata rispetto alla media Ue», ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini. L’ultimo dato disponibile, riferito al giugno scorso, certifica un 7,4% di disoccupati. Meno preoccupante la risalita dell’inflazione in ottobre (+0,1% mensile, +0,3% annuale).
Spaventano invece i connotati della jobless recovery, cioè della ripresa incapace di generare occupazione.

Trovare una cura non sarà facile. La riluttanza da parte delle imprese a prendere rischi, in attesa di un rilancio pieno dell’economia, sbarra la strada a nuove assunzioni. Rendendo più stretto il sentiero del rilancio economico.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica