Scola: «Crisi, serve il contributo di tutti»

Scola: «Crisi, serve il contributo di tutti»

La crisi economica come il momento del parto, doloroso ma anche preludio alla gioia per una nuova vita. La condanna di un’economia trasformata in finanza e l’impoverimento famiglie già in difficoltà. Ma anche l’accusa alla politica incapace «di capire il cambiamento e coglierne le sfide» e al «monco progetto europeo». Senza dimenticare il rimprovero a comportamenti individuali ancor più moralmente condannabili di quelli delle cicale. E il tema di un’immigrazione che dev’essere «sostenibile e valorizzata».
«Crisi e travaglio all’inizio del terzo millennio» è il discorso pronunciato come tradizione dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano ieri ai primi vespri della solennità di sant’Ambrogio, vescovo e dottore della Chiesa. E per lui è la prima volta, nella basilica alla presenza delle autorità civili e militari. Discorso alto. Sacro e profano, come introduce citando la riflessione dell’allora cardinale Montini nel dicembre del 1962. E rivolgendosi alle «due società qui rappresentate», invita a «tributarsi riverenza e stima e offrirsi in vista del bene dell’uomo». Di fronte il governatore Roberto Formigoni, il ministro Lorenzo Ornaghi, il presidente Guido Podestà e il sindaco Giuliano Pisapia con il quale proprio di questo aveva parlato nel loro primo incontro. E ieri ha nuovamente ricordato il «rispetto di quanto tocca al vescovo e ciò che spetta alle autorità civili della polis». Ricordando come al magistero della Chiesa spettino gli insegnamenti sul «senso (significato e direzione) della vita umana». A cominciare dai più controversi, «matrimonio, famiglia, nascita, morte e giustizia sociale». Nessuna disponibilità, dunque, a cedere il passo. E raccontando proprio di Ambrogio, ricorda come fosse «particolarmente attento all’etica matrimoniale e familiare». Lui che «alla ferma condanna dell’aborto, fece seguire una decisa valorizzazione, profetica per il suo tempo, del ruolo della donna». Poi i passi dedicati da Scola alla «crisi economica e finanziaria». Certo che si tratti di «travaglio e transizione». Con il riferimento al dolore della donna nel parto. Ma che, nel Vangelo di Giovanni (Gv 16, 21) «quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo». Ma per questo «parlare di travaglio e non limitarsi a parlare di crisi economico-finanziarie, vuol dire non fermarsi alle pur necessarie misure tecniche per far fronte alle gravi difficoltà». Perché la radice della crisi è «nel rovesciamento del rapporto tra sistema bancario-finanziario ed economia reale. Le banche spinte a dirottare molte risorse che avevano in gestione (e quindi anche il risparmio delle famiglie) verso forme di investimento di tipo puramente finanziario». E per questo «si è potuto affermare: a Milano è rimasta solo la finanza». Tempi di crisi. «Perché non riprendere in seria considerazione la proposta che tutti i lavoratori abbiano parte agli utili di impresa?». E «per sollevare la nazione - assicura Scola - è necessario il contributo di tutti, come succede in una famiglia: soprattutto in tempi di grave emergenza ogni membro è chiamato, secondo le sue possibilità, a dare di più». Ma «chi ha il compito istituzionale di imporre sacrifici, dovrà però farlo con criteri obiettivi di giustizia ed equità, inserendoli in una prospettiva di sviluppo integrale (Caritas in veritate) che non si misura solo con la pur indicativa crescita del Pil». E poi i comportamenti ormai percepiti come normali di una «pubblicità che senza vergogna incoraggia a indebitarsi per fare una seconda vacanza». Irresponsabilità che «va oltre quella dell’immorale cicala che in fondo consumava soltanto ciò che aveva».
Per il presidente della Camera di commercio Carlo Sangalli, «l’indicazione di un concreto cammino di speranza per uscire dal tunnel di una crisi che non è solo dell’economia, ma dell’uomo.

Un uomo che deve rimettere se stesso e i suoi valori al centro della società, partendo dal presupposto che l’economia e la finanza sono mezzi e non fini della nostra esistenza». Per Formigoni «un richiamo forte alla politica perché si assuma le proprie responsabilità di guida e sappia essere umile e autorevole».

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