«Politici, non temete la critica!» è l’appello del cardinale Scola all’Angelicum, la casa dei frati francescani di Sant’Angelo che ha ospitato l’incontro dell’arcivescovo con il mondo della politica. Dietro le spalle Cristo crocifisso e un piccolo giardino dell’Eden. L’arcivescovo insiste su alcuni temi forti: «evitare gli opposti radicalismi» perché parafrasando Platone «il politico è un buon tessitore», rimanere uniti sulla «vita buona», «custodire la società civile e non attaccarla per difendersi dall’antipolitica».
Un invito al lavoro comune: «Costruire insieme è un dovere del politico, che viene scelto dal popolo sovrano per rappresentare un’istituzione. La sua appartenenza partitica non può che andare in subordine rispetto al ruolo istituzionale». Dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio: «La Chiesa si dichiara disponibile all’ossequio e all’obbedienza all’autorità istituita, da qualunque parte provenga, purché istituita nel rispetto della legge e di leggi giuste». Senza sconfinamenti: «La Chiesa non invade il campo delle istituzioni».
Posti in piedi nella sala piena di politici di ogni schieramento. Molti mea culpa e parole di malessere. Il sindaco, Giuliano Pisapia, rivela di andare ogni mattina a Palazzo Marino «con grande umiltà e angoscia» e che la notte fatica a dormire «pensando alle troppe diseguaglianze». Il governatore, Roberto Formigoni, confessa: «Viviamo la sfiducia nella politica che ha perso la dignità del proprio agire». Il presidente della Provincia, Guido Podestà, racconta di un sindaco che chiede alla figlia di mantenergli l’anonimato per non finire sotto assedio: «Dobbiamo riflettere su come cambiare».
Il clima è caldo, non convenzionale. La giovane rappresentante della scuola di politica della diocesi, Francesca de Nicolais, racconta «comunità parrocchiali che si spaccano per motivi politici». Il parlamentare centrista Savino Pezzotta dice: «Ci siamo crogiolati nei privilegi e abbiamo sentito la comunità cristiana distante». La presidente del Tribunale, Livia Pomodoro, lamenta la diffusa «difficoltà ad accettare il giudizio e l’amministrazione della giustizia».
L’arcivescovo nota «il filo rosso della sfiducia e del disagio». Conforta gli oratori: «Non lo dico per consolare i politici, ma è naturale che il disagio più forte è in chi è chiamato a governare. L’arte di governo è la più difficile. Il politico è sempre teso tra l’omaggio al bene della persona e la decisione su temi tecno-pratici come la vita e la famiglia. Sente su di sé il travaglio».
Invita a dialogare sempre e a essere sempre se stessi fino in fondo, due cose che potrebbero sembrare in contraddizione e invece si completano l’un l’altra. Al sindaco Pisapia ricorda che come membri della Chiesa «abbiamo principi irrinunciabili ma discuteremo su tutto». E se arriveranno decisioni inaccettabili su temi controversi, rimane «l’obiezione di coscienza, criterio ultimo della nostra libertà».
Risveglia il campanilismo ambrosiano: «Milano ha una vocazione indiscussa a essere traino». Una delle sue forze è l’apertura: «Milano è ospitale, terra di mezzo, crocevia, luogo di incontri». Parla della dedizione dei sacerdoti ambrosiani che dedicano «cura e accoglienza a tutti perché tutti figli di Dio incarnato».
Sui temi controversi, come la bioetica e l’immigrazione, «dobbiamo cercare ciò che si nasconde dietro le reazioni». Lui, da teorico del meticciato di culture e civiltà», invita a interpretare le paure e anche gli aperturismi acritici».
Assente all’incontro il leghista Dario Galli, presidente della provincia di Varese. Qualcuno in platea mugugna, ricorda le vecchie polemiche tra l’arcivescovo di Milano e la Lega. Impegni improcrastinabili, spiegano dal palco.
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