Scompare un mestiere, chiude l’ultimo Carbonino genovese

Scompare un mestiere, chiude l’ultimo Carbonino genovese

«Ü Carbunin ve salüa doppu cinquanta anni de laü». Si chiude così un’altra pagina di storia, scompare un altro mestiere: abbassa la serranda l’ultimo venditore di carbone. Quello che per il quartiere di Certosa era una vera istituzione, con la sua bottega stretta e lunga e quel magazzino magico nascosto dietro ad una porta di legno dove i bambini che accompagnavano le mamme a fare la spesa, fantasticavano cercando di capire cosa potesse nascondersi dietro la bottega dell’uomo del carbone.
Salvatore Stasi ha deciso di abbandonare il campo dopo decenni passati tra il suo negozio, a due passi dalla chiesa del Borghetto, e le case dei certosini a portare prima carbone, poi cherosene, quindi bombole a gas. «Lascio per qualche problema di salute» racconta un po’ malinconico mentre finisce di sistemare le ultime merci rimaste nella sua attività: «la voglia di andare avanti ci sarebbe anche stata ma la salute è più importante» gli fa eco la moglie Carla Bruschi Presenti che ha accompagnato il marito in questa lunga e affascinante avventura. Tutto cominciò nel 1962 in via Jori, dove Salvatore rilevò una piccola attività, acquistò un carretto che ogni mattina legava con una cintura intorno alle spalle e dalle 7 era già a suonare a case e condomini per riempire stufe e caldaie di legna e carbone: «Nel giro di pochi anni avevo così tanto lavoro che presi due aiutanti: potevo farli lavorare nei sei mesi invernali, negli altri sei li lasciavo a casa. Portavamo di tutto carbone per bracieri, antracite, coke. E poi tanta legna che una volta a settimana mi arrivava dalla Toscana: riempivo il magazzino con tremila quintali di legname. In tanti anni mai una lamentela sul mio lavoro». Sono gli anni delle lunghe villeggiature e mentre in estate si pensava a vendere il ghiaccio e la segatura, da settembre il lavoro cambiava. «In estate portavo i blocchi di ghiaccio ai patecari, lo sbriciolavo per i bar che servivano le granite e fornivo le pescherie» ripercorre i primi anni Salvatore, «mentre io stavo in negozio la domenica mattina: facevamo l’apertura straordinaria per vendere il ghiaccio a pezzi alle famiglie: lo rompevo con una punta» precisa la moglie.
Poi dal carbone si è passati al cherosene, «ne vendevo ottocento cestelli al giorno, ero arrivato al punto che non prendevo più clienti perché non riuscivo a soddisfare tutti», quindi il periodo delle bombole a gas e quelle di propano che venivano acquistate dalle imprese edili e dagli operai che aggiustavano l’asfalto: «Quelle le ho abbandonate nel novembre del 1999». Nell’evoluzione del carburante anche l’evoluzione di un mestiere iniziato con un carretto a traino, passato poi all’Ercolino Guzzi «che con una seconda ridotta scalava anche le salite più difficili», quindi un altro motocarro prima di passare al camion.
Ma se all’inizio in bottega oltre al carbone c’era il freezer per il ghiaccio, passando i decenni si è arrivati ad un negozio dove qualsiasi cosa utile per casa e giardino era a portata di mano. Solo prodotti di marca che garantivano qualità ma tutto quello che non si trovava da altre parti, compresi i grandi magazzini, qui c’era: «A fine anni ’70 ho realizzato io delle scaffalature e cominciato a vendere altri prodotti. Stavano cambiando i tempi e ci siamo adeguati» racconta Salvatore Stasi, lui che originario di Ruvo di Puglia parla il dialetto genovese in maniera impeccabile. Una chiacchierata leggera mentre Salvatore e Carla riempiono gli scatoloni della merce avanzata visto che la vendita è terminata il 31 dicembre. La serranda abbassata, però, non arresta l’esodo di persone che si chinano ed entrano come se l’attività fosse ancora in funzione: Certosa ancora non può credere che il Carbunin abbassi la saracinesca, non vuole rinunciare ad un piccolo punto di riferimento e ad una realtà che sta profondamente mutando. Le persone entrano e provano a chiedere pentole, casseruole, vasi di terracotta e saponi arrendendosi solo davanti alle spiegazioni della signora Carla e ad un cartello compilato con il pennarello blu: «Cassa chiusa».


Ma adesso un uomo che ha passato cinquant’anni della sua vita tra quelle mura, cosa farà? «Ho un nipotino di quattro anni, Leonardo, al quale dedicarmi» spiega facendosi tornare il sorriso dopo racconti di una vita che gli hanno portato un pizzico di malinconia. Ma anche grandi soddisfazioni e l’affetto di un intero quartiere.

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