SCONFIGGERE L’ARROGANZA

SCONFIGGERE L’ARROGANZA

Sarà bene guardare alla lunga giornata che terminerà domani con la chiusura delle urne come a una di quelle lunghe battaglie epiche dipinte da Paolo Uccello: giornate di storica competizione e non soltanto giornate di semplici elezioni amministrative. In campo, anche se parzialmente, scendono infatti le due Italie: quella che ha vinto soltanto le elezioni numeriche d'aprile (difficile considerarle una vittoria politica) raccolta intorno al mutante partito comunista italiano e quell’altra, largamente rappresentata anche da questo Giornale, l’Italia del forte riformismo antistatale, del liberalismo rivoluzionario ma ben temperato dalla solidarietà verso i più deboli, un’Italia che vuole l’Europa ma non a spese del rapporto con gli Stati Uniti: insomma quell’Italia che considera la libertà il perno su cui ruota tutto il resto, e non un accessorio buono per lapidi di strade e cimiteri.
Le Due Italie non erano mai venute fuori così drammaticamente come è avvenuto con la Tac delle elezioni di un mese e mezzo fa. Abbiamo visto due Italie gemelle non identiche ma nettamente separate, come è bene che avvenga in democrazia. Oggi però sappiamo che una delle due Italie, quella che ha rapacemente rastrellato le istituzioni come un bottino (cosa mai accaduta prima) aveva politicamente barato con lo scippo di 50mila voti leghisti dissidenti e, probabilmente, ha inquinato il voto degli italiani all’estero con una serie di irregolarità che noi andiamo documentando quotidianamente sulle nostre pagine grazie al famoso giornalismo indipendente che tanto viene evocato a sinistra, ma che la sinistra finge di non vedere quando le fa comodo. Per non dire di quel circolo sapiente della Freedom House che un anno fa ha posto il livello di libertà d’informazione in Italia fra il Ghana e il Benin.
Il voto di oggi deve essere anche una risposta contro la frode che permette di sedere in Parlamento a persone che invece dovranno, come dire, schiodare e permettere di rifare i conti. Oggi e domani si vota dunque anche per la verità, oltre che per sindaci e giunte delle maggiori città, per il rinnovo dell’Assemblea e del Presidente in Sicilia, per molti consigli comunali, sono in gioco piazze come Milano, Roma, Napoli, Torino, più le province di Mantova, Pavia, Treviso, Imperia, Ravenna, Lucca, Campobasso e Reggio Calabria: quasi venti milioni di italiani tornano alle urne e di quelli della Cdl non deve mancare nessuno. Non ci azzarderemo a dire che si gioca la rivincita, ma certamente si gioca una delle grandi battaglie politiche in cui si difende la libertà e anche la verità, la decenza della democrazia contro l’arroganza pigliatutto che si è servita anche della frode sudamericana. È dunque più che mai importante che tutti vadano a votare e che lo spoglio delle schede sia poi inflessibile, trasparente, verificato con manifesta ostilità nei confronti di chi usa la frode e poi fa finta di niente. Oggi è dunque un’altra giornata storica perché fa parte della lunga battaglia democratica per un’Italia libera e liberale comunque vadano le cose. Ma le cose andranno bene se la frustrazione per lo scippo del 10 aprile si trasformerà nelle urne in un messaggio di forza dell’altra Italia, la nostra, per cui democrazia e libertà hanno un valore sia individuale che collettivo.

L’Italia minoritaria che si è piazzata nelle istituzioni e nel governo sa perfettamente come stanno le cose e lo dimostra con la crescente furia con cui attacca Silvio Berlusconi colpevole di aver mandato in frantumi fin dal 1994 le loro «macchine da guerra»: quello è il segno della loro disunione perché null’altro li tiene insieme. E hanno una coda di paglia che merita un cerino acceso.

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