«Sconfiggeremo il modello Marchionne»

La Fiat di Sergio Marchionne ha rotto il fronte del contratto nazionale dei metalmeccanici. In parallelo i sindacati bancari stanno conducendo con l’Abi di Giuseppe Mussari un’aspra trattativa sulle regole dell’industria del credito. Chiediamo a Lando Maria Sileoni che guida la Fabi, la sigla più rappresentativa del settore, se sarebbe pronto ad applicare alle banche il “modello Pomigliano“.
«Per prima cosa mi preme sottolineare la peculiarità della realtà bancaria nel contesto del sistema economico. Se, però, il significato della domanda è quello di conoscere se siamo pronti a confrontarci con la modernità e la difficoltà di uno scenario in divenire la risposta è sì, a condizione però di poter negoziare i contenuti e le regole».
La frattura con l’Abi sul fondo esuberi dimostra che l’industria del credito vuole cambiare passo, come risponderete?
«La rottura con Abi non è definitiva, nel senso che non si è ancora consumata. Vedremo nei prossimi giorni quello che succederà. Sul fondo di solidarietà intendiamo salvaguardare la volontarietà, cioè impedire lo scambio automatico, preteso dall’Abi, tra utilizzo dell’ammortizzatore sociale e obbligatorietà d’uscita. Nelle aziende e nei grandi gruppi bancari sono sempre stati fatti accordi sindacali senza obbligare i lavoratori al pensionamento. Questa è la migliore risposta a chi vorrebbe imporre l’obbligatorietà al pensionamento a livello di sistema».
Fiat ha lasciato Federmeccanica, per le banche è concepibile un contratto fuori dall’Abi?
«Un’eventuale uscita dall’Abi di qualche istituto creditizio non può che essere animata dall’illusione di ottenere sconti sul piano contrattuale o essere ispirata dalla pretesa di perseguire una compressione dei diritti dei lavoratori. Oggi non ci sono né le condizioni politiche né sociali o economiche per giustificare uno strappo del genere da parte di qualsiasi grande banca italiana».
Per la Fabi quali sono i punti irrinunciabili del nuovo contratto del settore e che cosa modificherebbe del vecchio?
«Nessun contratto può, realisticamente, essere a costo zero, come dichiarato da Francesco Micheli, capo delegazione in Abi. A meno che l’obiettivo non sia perdere tempo per far slittare il rinnovo del contratto col risultato, inevitabile, di arrivare allo scontro. Quanto al rinnovo contrattuale riteniamo essenziale prevedere la definizione di un chiaro percorso per i precari: c’è la possibilità di aprire a una flessibilità in entrata, in fase di assunzione, ma regolata da condizioni che determinino un rapporto a tempo indeterminato. La parte economica, poi, deve essere significativa e consentire di recuperare il terreno perduto, senza ricorrere a confronti fondati su dati manipolati. Occorrono poi precise garanzie sui comportamenti reali delle direzioni, sia verso i dipendenti sia nei servizi alla clientela. Noi siamo pronti a confrontarci per definire un nuovo modello di banca. Qui, su questi temi, misureremo anche la tenuta del manifesto programmatico della nuova presidenza dell’Abi, nel senso che valuteremo se le promesse di trasparenza fatte dal presidente Mussari supereranno il porto delle nebbie nelle quali vorrano attrarlo i suoi grandi elettori».
Torniamo a Fiat, le sigle metalmeccaniche sono spaccate, la Fiom riuscirà a uscire dall’isolamento a cui si è auto-condannata?
«Comprendo la posizione della Fiom in quanto anche alla Fabi per tre anni capitò di essere relegata nel cosiddetto secondo tavolo. Mi auguro però che prevalga una coerente, comune visione politica tra Fiom e Cgil e che si tenga conto, a tutti i livelli contrattuali, della rappresentatività reale di quella organizzazione. Ciò inevitabilmente comporta anche per la Fiom la necessità di compiere delle scelte senza ricercare sull’Aventino l’illusione di una soluzione».
L’Istat ha fotografato una situazione difficile per l’occupazione giovanile. I sindacati bancari sono pronti ad accettare una maggiore flessibilità in cambio di più assunzioni?
«La Fabi, che si è mossa da tempo per ottenere la conferma a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari, non teme di misurarsi con i così detti “contratti alternativi“, laddove ne siano però ben definiti finalità e contenuti. Per esempio, dobbiamo contrastare in azienda gli abusi degli stage. Dobbiamo aprire alla decontribuzione orizzontale o compensativa per coloro che, come i giovani, percepiscono inizialmente minori quote di salario. Dobbiamo essere messi in condizione di verificare l’esigibilità degli impegni sottoscritti dalle banche attraverso l’accesso paritetico a dati trasparenti e univoci».
Tra poco partiranno le trattative per il piano industriale di Intesa Sanpaolo. Quale potrebbe essere il punto di incontro con l’ad Corrado Passera?
«La trattativa sindacale in un grande gruppo è sempre irta di difficoltà. Non sarà facile contrastare le pretese di ottenere deroghe più intense e progressive, senza intaccare il quadro dei diritti dei lavoratori. Occorrerà, quindi, puntare a finalizzare quelle deroghe che possono giovare all’occupazione. Tra esse indico l’equità che deve interessare la distribuzione del reddito in banca tra i vertici, i consigli di amministrazione e i super manager.

Su quello che accadrà in Intesa, lo sa bene l’ad Corrado Passera, ci saranno gli occhi puntati di tutto il sistema bancario, in modo particolare degli altri grandi gruppi creditizi, che vorranno capire se Intesa rispetterà le attuali norme del contratto nazionale o se invece cercherà di attuare deroghe allo stesso».

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