Politica

SCONTRO FINALE

Uno degli uomini più potenti del sistema finanziario italiano, Marco Tronchetti Provera, ieri sera a sorpresa si è dimesso. Ha mollato la presa della Telecom. Si è autocommissariato e ha nominato come suo successore Guido Rossi. L'avvocato delle emergenze. La guerra lampo con Romano Prodi potrebbe dunque concludersi così, con la netta sconfitta dell'erede dell'Avvocato Agnelli. Del celebrato manager dalla stampa internazionale. Ma anche dell'uomo che non ha saputo dare una sterzata a Telecom, gravata da 40 miliardi di euro di debiti, e che recentemente aveva approvato una svolta alle tlc in senso diametralmente opposto a quanto aveva egli stesso progettato un anno fa. Sarebbe la più ovvia conclusione in un'economia delle relazioni, dove quella con il premier è la principale. Soprattutto se il presidente del Consiglio ha intenzione di trasformare Palazzo Chigi nell'Iri. Rompere questo rapporto diventa fatale. Soprattutto per chi non ha le spalle davvero larghe.
Eppure nell'autocommissariamento di Tronchetti ci potrebbe essere un gioco più sottile e dagli esiti incerti.
Rossi, che ritorna in Telecom dopo nove anni, è infatti ritenuto, a torto o ragione, l'uomo della legalità. Il suo passato in Consob lo mette nella favorevole condizione di avere l'allure del padre nobile del diritto societario e borsistico. E i suoi rapporti con la Procura di Milano inscatolano ora la vicenda Telecom in una torre di inviolabilità oggettiva. A ciò si aggiunga un tono di mercato, di privato: Rossi è un'antitesi più giuridica che economica a possibili statalizzazioni surrettizie delle tlc tricolori.
Con questa lettura l'avvocato delle emergenze può trasformarsi nell'arma più pungente di Tronchetti nei confronti dell'esecutivo di Prodi: l'urlo di denuncia nei confronti di un premier che ha cercato di dettare la sua legge nel futuro di un'azienda privata.
È una scommessa con una posta altissima. Tronchetti contro Prodi, a viso aperto. Con Rossi alla guida del gruppo, come tutore della legalità e del suo sacrosanto diritto di agire liberamente sul mercato. E la battaglia da condurre altrove. Alimentando le crepe della maggioranza di questo governo. Ad esempio in quella componente diessina che mal sopporta la irizzazione di Palazzo Chigi e che non ne trae alcun vantaggio.
Ecco perché le dimissioni giungono improvvise e apparentemente disperate. Ecco perché Tronchetti si dimette, quando dalla Cina Prodi dice che «sarebbe da matti» presentarsi in Parlamento per affrontare la questione Telecom. E che «sarebbe da matti» soprattutto rispondere alle Camere di quel documento confezionato da un suo stretto consulente, faxato a Tronchetti da Palazzo Chigi, sponsorizzato dal sottosegretario Tononi (come testimonia l'articolo di Fabrizio Ravoni) e che avrebbe imposto uno spezzatino a Telecom, ma di chez Prodi.
Tronchetti con il suo autocommissariamento gioca d'anticipo la carta più disperata: rendere la oggettiva debolezza patrimoniale e finanziaria di Telecom un caso politico. Ribellarsi ad un progetto di salvataggio generato da una sola parte dell'esecutivo.
Le dimissioni di Tronchetti potrebbero rappresentare un passo più lungo della sua gamba. Come d'altronde si è rivelato l'acquisto di Telecom a un prezzo doppio rispetto al suo valore attuale di Borsa. Ma Prodi e i suo Iri-seniors questa volta una spiegazione anche politica non possono più eluderla.

E anche per loro ci potrebbero essere conseguenze.

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