Scontro Il Prc alla guerra di «Liberazione»: Ferrero illiberale

RomaDove andremo a finire, signora mia? Incredibile ma vero, dirazzano anche i comunisti: nella lotta intestina che dilania il Prc, partito della Rifondazione comunista, quel che una volta era un insulto o un’accusa infamante, insomma un disvalore, ora risuona come qualità da difendere, un valore indiscusso. È proprio il direttore di Liberazione Piero Sansonetti, da tempo fuori linea e in dissenso col segretario - che è pure il suo editore - ad accusare: «Il vero problema di Paolo Ferrero è nella sua indole illiberale nei confronti dell’informazione».
Gli dà dell’illiberale, non trotzkista, socialfascista, frazionista, nemico di classe e giù giù per il lungo repertorio distillato nella tradizione comunista. Come se Luigi Einaudi avesse preso il posto di Lenin sotto le rosse bandiere con falce e martello, come se le note di O bianco fiore risuonassero più accattivanti di Avanti o popolo, come se i testi di Benedetto Croce avessero soppiantato Carlo Marx. Non che la maggioranza su cui poggia Ferrero sia da meno, se Nadia Schavecher accusa a sua volta Sansonetti perché Liberazione «censura i comunisti greci».
Quando la sorte s’accanisce sulle famiglie in lite, volano gli stracci. Ma la Schavecher non si tiene, e dimentica della gloriosa storia della stampa comunista, quella delle lenzuolate sulle analisi del Migliore e del paradiso sovietico, denuncia: «Il nostro giornale non racconta la verità, strumentalizza, come già accaduto per Cuba e per Hugo Chavez». Men che meno si frena Sansonetti, che spara sulla segreteria a pallettoni libertari e irride Ferrero perché pensa ad un giornale di partito «arcaico, ad una sorta di specchio della vecchia sinistra che sa solo guardare al proprio ombelico».
Forse aveva ragione Massimo D’Alema, quando rimproverava il predecessore di Ferrero, Franco Giordano, perché non riusciva a tener le briglie dei suoi che provocavano continue turbolenze nell’ultimo, disastrato governo Prodi: «Ma che comunisti siete, se non rispettate nemmeno il centralismo democratico?». Già, bei tempi quando i direttori dei giornali comunisti obbedivano senza fiatare, ogni cambio di linea veniva applicato fedelmente, e se qualche giornalista non era d’accordo coi carrarmati che invadevano Budapest doveva andarsene per non esser licenziato. Sì, è cambiato il mondo, addio militanza e disciplina comunista. Sansonetti non ci pensa nemmeno lontanamente ad andarsene perché non vuole applicare la linea della segreteria: ma quale partito, «me ne vado solo se mi sfiduciano i miei giornalisti, e non mi sembra che questo debba avvenire» promette deciso come una guardia rossa.
La suggestione liberale appare monca e viziata però, perché anche i principi liberalsocialisti del vituperato Craxi imporrebbero comportamenti diversi. In un giornale «borghese» che accetta e sta «nel mercato», il direttore resta sinché ha la fiducia dell’editore, non un minuto di più; e anche se la maggioranza della redazione lo sfiducia, non è minimamente tenuto a liberar la scrivania. Ma Liberazione dev’essere un soviet, proprietari della testata son forse i giornalisti (gli altri impiegati, no?), son loro che finanziano le spese e coprono anche i debiti. Qualcosa non quadra, forse non è soltanto Ferrero ad essere «illiberale». Ma scusate, il finanziamento pubblico a Liberazione non lo ottiene il partito? Il giornale non è l’organo di questo partito? E la linea del partito e del giornale non la decide democraticamente il congresso che ha eletto segretario Ferrero, mandando in minoranza Giordano, Nichi Vendola e Sansonetti?
Ma tutti i principi, liberali e comunisti, vanno a farsi benedire quando c’è un forte scontro di potere. Anche in un partito che è stato cancellato nelle ultime elezioni, perché piccolo, grande o micro, il potere è potere e logora solo chi non ce l’ha, come ha insegnato Giulio Andreotti. Si stanno scannando in Rifondazione; e non si comprende che cosa aspettino per separarsi, visto che la sinistra ha fatto il callo alle scissioni.

Ma se l’intera minoranza diserta la riunione del Comitato politico nazionale per andare all’Ambra Jovinelli a costruire il cartello con le altre mini anime della sinistra, vuol dire che è superato anche lo stadio dei separati in casa. Con buona pace del «liberalcomunismo».

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