Roma«I had a dream». Stropicciando Martin Luther King la sinistra aveva un sogno, infranto dal governo Berlusconi con tanto di firma di Napolitano in calce al decreto salva-liste. Certo sarebbe stato bello vincere a tavolino in due Regioni pesanti come il Lazio e la Lombardia, causa inammissibilità del principale contendente. In Lazio il pasticcio non è ancora risolto, vista la decisione del Tar che pare aver cacciato la lista del Pdl che appoggia la Polverini. Ma soprattutto - questo il vero disegno piddino - il sogno era arrivare a un rinvio del voto in queste due Regioni, ipotesi ventilata nei giorni scorsi da DAlema e caldeggiata dallex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro.
Già, perché cartina geografica e pallottoliere alla mano, togliere dal conto Lombardia e Lazio avrebbe garantito a Bersani e compagni di scongiurare una sorta di «lunedì nero». Il blitz della sinistra è tuttavia fallito con tanto di sottoscrizione del Quirinale: «Lesclusione del Pdl non era sostenibile - ha tagliato corto il capo dello Stato -. Norme e diritti dei cittadini sono ugualmente preziosi». Il miraggio della sinistra è quindi svanito sebbene avesse una ratio evidente, calcolatrice alla mano.
Il weekend del 28-29 marzo, infatti, si vota in 13 Regioni che, alle ultime elezioni amministrative del 2005, hanno dato un risultato supervantaggioso per il centrosinistra: 11 a 2. Lallora Casa delle libertà vinse soltanto in Lombardia e Veneto, lasciando agli avversari Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. Ora, causa i pessimi risultati dei governi tinti di rosso, lo scenario potrebbe essere diverso, molto diverso. In Piemonte, nonostante la candidata del Pd sia fortissima, si parla di un testa a testa tra la Bresso e Cota; in Campania, lesperienza flop di Bassolino pesa a tutto vantaggio del candidato del Pdl Stefano Caldoro; in Puglia, seppur Nichi Vendola sia un pezzo da novanta, si vocifera di un progressivo recupero del centrodestra con Rocco Palese; mentre in Calabria pare non esserci partita: vittoria al Pdl. In sostanza rimarrebbero in mano ai progressisti le tradizionali Regioni rosse più Liguria e Basilicata. Tradotto: il centrosinistra potrebbe continuare a governare su 6 Regioni, il centrodestra su 7. Contando, sintende, anche Lazio e Lombardia, le due Regioni-colosso date per certe come pdl.
Ecco perché il leader del Pd Bersani ha escluso a priori qualsiasi accordo con la maggioranza per uscire dal pasticciaccio delle liste: «Nessuna soluzione politica. Lo devo dire in cinese?», ringhiava il 5 marzo. Aveva fatto due conti: senza Lombardia e Lazio avrebbe potuto presentare la sua probabile sconfitta come un pareggio se non addirittura come una vera e propria vittoria: 6 a 5 per noi, olè! Senza contare, poi, che il conteggio sul numero delle Regioni potrebbe restare a vantaggio del Pd ma è decisamente fuorviante. La Lombardia ha 9 milioni di abitanti (7 milioni e 600mila di elettori) mentre il Lazio ne ha 5 milioni (4 milioni e 600mila elettori): sommati fanno quatttordici milioni di cittadini la cui maggioranza, molto probabilmente, è moderata e di centrodestra. La popolazione delle sole due Regioni di Lombardia e Lazio superano la somma degli abitanti delle Regioni date per assegnate al Pd (Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche e Basilicata), che tutte insieme rappresentano undici milioni e 800mila italiani. Ecco perché mettere il bavaglio a una valanga di elettori del Pdl, per Bersani e compagni sarebbe stato fondamentale per meglio mascherare una débâcle sostanziale ma anche mediatica. Il lunedì successivo al voto avrebbero commentato un risultato privo di due posticipi che molto probabilmente li avrebbe visti perdenti.
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