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La Scozia ora vuol fare un voto per separarsi dal Regno Unito

I nazionalisti scalzano il Labour dopo 50 anni. Con una promessa che fa già paura

Sul campo, questa volta non per allenare, ma per fare il tifo, sono scesi il coach del Manchester United, Alex Ferguson, e 15 fuoriclasse scozzesi del calcio, sostenendo che «il vero patriottismo è restare nel Regno Unito». Dall'altra parte, a tessere le lodi dell'indipendenza da Londra, c'è il divo scozzese di Hollywood più famoso al mondo, Sean Connery. La partita è ancora aperta, ma le elezioni del 3 maggio in Scozia potrebbero rivelarsi un match di quelli destinati a entrare nella storia della politica inglese. Nel giorno in cui si deciderà per il rinnovo dell'Assemblea nazionale in Galles e per alcune amministrazioni locali in Inghilterra, nella terra di Braveheart si voterà infatti per il rinnovo di Holyrood, il Parlamento nato nel 1999 in seguito alla devolution fortemente voluta da Tony Blair. Eppure proprio da qui potrebbe emergere un voto che, per la prima volta dopo cinquant'anni di potere incontrastato, vedrà il Labour perdere la pole position nella terra delle miniere, in quella che da mezzo secolo è la roccaforte della working class. A insidiare il primato è lo Scottish national party, il partito nazionalista, che anche grazie all'influente carisma del suo leader, Alex Salmond, potrebbe diventare la formazione numero uno nella consultazione di maggio in Scozia e avviarsi verso il governo della Provincia, che dalla sua nascita, otto anni fa, è sotto la doppia guida di una coalizione formata da laburisti e liberaldemocratici.
Le armi dei nazionalisti scozzesi? Indipendenza, petrolio e politiche sociali. Sì, perché nonostante la devolution e una spesa pubblica a persona che supera di 1.500 sterline quella di cui beneficiano gli inglesi e nonostante i giacimenti petroliferi che contengono le più ampie riserve dell'Unione europea, la Scozia registra la peggiore crescita di lungo termine in Europa e il più alto tasso di disoccupazione del Regno Unito. Segno che la devolution non ha funzionato come doveva.
Così Alex Salmond chiede pieni poteri, indipendenza da Londra, nonostante lui stesso avesse appoggiato - con struggimento - la devolution nel 1999. Allora si pensava che quella fosse la tomba dei nazionalisti, ma Salmond intuì che poteva divenire il suo cavallo di Troia per l'indipendenza. Probabilmente non aveva torto. In una terra dove i conservatori sono storicamente deboli, l'alternativa al Labour potrebbe essere proprio quella formazione che ha nel suo Dna la scissione dal Regno Unito.
Tra i laburisti e l'Snp ci sarebbero circa cinque punti percentuali di stacco, che forse non garantiranno ai nazionalisti una maggioranza così schiacciante da poter formare un governo da soli, ma che li spingeranno al massimo verso una coalizione coi liberaldemocratici. Di fatto, intanto, Salmond ha promesso un referendum sull'indipendenza (che avrà solo carattere consultivo) ma che non potrà certo essere ignorato da Londra. Anche se i sondaggi dicono che gli scozzesi non necessariamente sposeranno l'indipendenza, il referendum potrebbe essere per il leader scozzese un coltello puntato al collo dell'esecutivo londinese. I liberaldemocratici, che potrebbero formare la nuova coalizione di governo con l'Snp, premeranno per annacquare la consultazione, ma intanto Salmond potrebbe essere già premier.
Ma la consultazione scozzese è anche un vero «incubo» per Gordon Brown. Il Cancelliere dello Scacchiere (ministro dell'Economia a Londra) ha nella natìa Scozia la sua roccaforte e rischia di perdere proprio nella sua terra una fetta di consenso decisivo alla vigilia della promessa incoronazione a leader del partito e capo del governo dopo l'uscita di Blair. Proprio per lui, se Blair abdicherà entro settembre (forse proprio dopo il voto a Edimburgo), la Scozia potrebbe essere «il regno perduto».

Un'arma in più per i conservatori di David Cameron che continueranno con più vigore la logorante battaglia per la conquista di Downing Street alle prossime politiche.

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