Uno scrittore prigioniero di se stesso

Nel suo nuovo libro Jonathan Franzen, l’autore di "Le correzioni" è troppo preoccupato di confermarsi "di culto" e si adatta alle attese del pubblico. Così un romanzo spacciato per generazionale è solo "furbo"

Uno scrittore prigioniero di se stesso

Uno scrittore per tutte le stagioni, un classico istantaneo, il quale dissolve tutte le proprie ambizioni in libri che, più che restare nel tempo, lo eludono. Jonathan Franzen, da molti considerato l’ultimo genio della letteratura americana contemporanea, a quasi dieci anni di distanza da Le correzioni, torna in libreria con il suo quarto romanzo Libertà (in uscita il 15 marzo per Einaudi). Capace di guadagnarsi la copertina di Time, onore che a uno scrittore non veniva conferito dai tempi di Stephen King, Franzen ha saputo abilmente trasformarsi più che in uno scrittore in un intoccabile, l’unico a esempio che può permettersi di definire la potentissima critica del New York Times Michiko Kakutani «una delle persone più stupide di New York», per poi essere incensato dalla stessa come «uno degli scrittori più importanti degli ultimi 30 anni».
È innegabile che Franzen sia abilissimo nel creare (e vendere) casi letterari. Anche questo Libertà è stato accompagnato da un’attesa insolita: Obama ne ha fatto la propria lettura da spiaggia la scorsa estate e anche il titolo, in questi tempi diventa un manifesto da sventolare. La trama si può riassumere in poche righe: è la storia di una coppia (Patty e Walter Berglund), dei loro amici/amanti, dei figli, di un’infelicità che sembra trascinarsi per anni fra gli istinti repressi di Patty e i turbamenti «egologici» del marito, tra la voglia d’indipendenza del marito e le malinconie di un musicista indie-rock amico (amante) di famiglia.
Con un leggero imbarazzo, dopo poche pagine di questo romanzo ci si rende conto che quelli che all’inizio sembrano personaggi marginali sono in realtà i protagonisti della storia. È come se per Franzen la questione centrale di tutta la letteratura sia creare ritratti plausibili dei vicini della porta accanto. Hanno i loro problemi, ma con questo? Fare gli scrittori significa davvero credere che ogni famiglia infelice sia speciale?
Quella di Franzen sembra più che altro (com’era stato con Le correzioni) un’operazione «furba»: un collage dei topoi più cool (persino la guerra in Irak!) della letteratura americana per quello che dovrebbe essere un romanzo «generazionale». Ma qualcosa non torna. I personaggi sono finti, troppo letterari. Il sesso, che dovrebbe costituire una delle crepe di questa coppia, è rappresentato in modo grottesco. E le supposte questioni sociali del romanzo sono improbabili: Franzen non mostra interesse per il mondo del lavoro, per le professioni dei personaggi di cui scrive. Ci sono pagine che paiono prese di peso da un’enciclopedia, tali da far sospettare che persino l’editor del libro abbia poco interesse in materia.
Ma, tolti il sesso e il lavoro, ci si continua a chiedere: non era un romanzo che avrebbe dovuto descrivere l’America di oggi? Le problematiche sono comuni, ma non hanno quella eccezionalità che ogni grande scrittore (Richard Yates, a esempio, da cui Franzen ruba le idee migliori) sa trovare nelle vicende quotidiane. Sembra che Franzen invece di prendere la mediocrità ed elevarla a grande letteratura, faccia il contrario. L’ironia è usata in modo indistinto, senza alcun obiettivo. Il linguaggio è un mix di alta eloquenza e trivialità da metropolitana. Come ha scritto un critico americano, «Franzen dovrebbe rilassarsi. Non abbiamo bisogno di trovare una parolaccia a ogni pagina per sapere che lui è uno giusto».
Il Franzen più sincero, casomai, lo si può trovare in altri libri, nella brevità e negli scritti più autobiografici, quando si contiene e lascia da parte l’ambizione, come in Zona disagio, nel capitolo «Due pony», dove parla della sua passione per Schultz e Charlie Brown. Ma qui, in Libertà, Franzen non è affatto libero, si ricorda troppo dello status di scrittore di culto e finisce per aggrapparsi a ciò che è passeggero: gli umori e i gusti del pubblico. Non c’è niente di sleale, di scorretto, di anarcoide, di libero in questo romanzo. È come un lenzuolo adagiato sui tempi di oggi: serve solo a coprirci la vista. Non apre squarci sul domani. Ricorda molto alcuni autori di best seller mascherati da grandi romanzieri come Ian McEwan o come il nostro Baricco. È solo da questa prospettiva che possiamo considerare Franzen «l’autore del momento».


Se non avete tempo da perdere, ma volete sapere di che tratta Libertà rileggete l’incipit di Anna Karenina. Tolstoj scrive: «Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». In due righe sintetizza ciò che Franzen ha cercato di spiegare in oltre 500 pagine.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica