È andata, si brinda. Evviva, la libertà di stampa, anche quella sul piccolo schermo, ora sì che è tutelata. Vanno a buon fine le grida di dolore. E adesso, i lupi mannari che si aggirano a Viale Mazzini frignano come agnellini. Tutto risolto: si va in onda sereni. «Abbiamo rispuntato la scorsa settimana» la tutela legale della Rai per Report. Tutto bene ciò che finisce bene. E Milena Gabanelli, in difesa della quale oggi si scende pure in piazza, annuncia in prima persona la buona novella.
Ok, però... Basta infatti andare un po’ avanti, con l’intervento della giornalista ai microfoni di Radio 24, per capire che qualcosa non quadra. Per comprendere che l’impegno della Rai, a chi l’ha richiesto a gran voce da mesi, non basta più. Possibile? Sì, visto che la tutela legale, lamenta la conduttrice del programma di Raitre, che riprende domenica 11 ottobre, c’è, «almeno» - come per dire «soltanto» - «per questa serie». Già, non è sine die. Si riponga quindi di nuovo in frigo lo spumante, non c’è nulla da festeggiare. Anzi, «si naviga un po’ a vista, capisce?».
È un gran bel punto interrogativo. Perché, se da una parte la Gabanelli riconosce a mamma Rai di aver sciolto il nodo, dall’altra rilancia subito con una nuova richiesta. E apre un’altra battaglia di libertà, a poche ore dalla discesa in piazza («che tempestività!», sghignazza il maligno di turno) di chi considera il nostro Paese alla deriva mediatica. Vittima di un sistema che imbavaglia chi protesta, orchestrato a dovere dagli uomini del Cavaliere.
Ai più, sarà sfuggito però qualche passaggio. Perché non basta rileggere la lettera del 29 settembre, quindi di questa settimana, pubblicata dal Corriere della Sera, per rispondere a quel «capisce?». Già. Ma cosa affermava solo pochi giorni fa? Tanto per cominciare: «La pressione politica (che in Italia è particolarmente anomala) sul condizionamento della libertà d’informazione forse non è l’aspetto più importante, anche se ciclicamente emerge quando coinvolge personaggi noti. Per questo facciamo grandi battaglie di principio e ignoriamo gli aspetti “pratici”». Ovvero? «Premesso che chiunque si senta diffamato ha il diritto di querelare, che chi non fa bene il proprio mestiere deve pagare, parliamo ora di chi lavora con coscienza. Alla sottoscritta era stata manifestata l’intenzione di togliere la tutela legale». Quindi, «la direzione della terza rete ha fatto una battaglia affinché questa intenzione rientrasse, motivata dal dovere del servizio pubblico di esercitare il giornalismo d’inchiesta assumendosene rischi e responsabilità».
Così sembrava tutto rientrato, visto che, sempre in quella missiva, la Gabanelli - ricordando di avere pendenti sulla sua testa una trentina di cause - denunciava la mancata copertura proprio delle spese legali. Non compresa nelle polizze assicurative che una compagnia americana e una inglese, disposte ad accollarsi l’eventuale danno, avrebbero fatto sottoscrivere a Report.
Ma tant’è, il problema rimane. E nel pomeriggio si va in ogni caso a Piazza del Popolo, per intonare il «no all’informazione al guinzaglio». Perché se è vero che «tutti i politici di tutti i Paesi esercitano, a vari livelli, le loro pressioni sui giornalisti per indirizzare, condizionare, limitare», è vero pure, sottolinea a Mattino 24 l’ex collaboratrice di Giovanni Minoli a Speciale Mixer, che «in Italia si trovano interlocutori particolarmente asserviti e questo fatto produce certi risultati».
E se un punto chiave è piuttosto ricorrente («il problema, più che nella politica, sta in realtà nella qualità dei giornalisti, dei direttori spesso scelti dalla politica»), l’anomalia più pesante è un’altra: «Nel momento in cui chicchessia si sente autorizzato a trascinarti in tribunale, anche in assenza del fatto diffamatorio, ma solo per intimidire il giornalista e ti fa cause per centinaia di migliaia di euro, alla fine diventa tutto troppo oneroso». Può succedere. Ma con la tutela legale, garantita dall’azienda ai collaboratori esterni, si potrebbe intanto navigare. Se si vuole.
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