Caro Granzotto, non ho ancora digerito la gazzarra inscenata allUniversità di Roma per impedire che il Santo Padre accogliesse linvito a tenervi una Lectio magistralis. Lei ha giustamente scritto che quei facinorosi studenti erano degli asini, ma non è che la colpa sia dei loro professori che ben in sessanta hanno firmato un appello affinché fossero sbarrate a Papa Ratzinger le porte della Sapienza? Sono i cattivi maestri che fanno i cattivi discepoli e il tremendo degrado della pubblica istruzione nasce sulle cattedre e non sui banchi. Vi si potrà un giorno porre rimedio?
Non lo so, caro Bertolini. Quello della pubblica istruzione è un edificio marcio. Volerlo risanare con lo stucco e lacquaragia è fatica sprecata: va buttato giù e riedificato da cima a fondo. Ma chi ha il coraggio di farlo, chi ha il coraggio di sfidare il corpo insegnante, gli studenti, le famiglie? Di mettere in riga i direttori generali - veri padroni dei ministeri -, il brulicante sottobosco di «esperti», consulenti, consiglieri e consigliori? Lei chiama in causa il corpo docente, innegabilmente il primo responsabile dello sfascio. Però non è che i genitori degli alunni diano una mano. Anzi, si è indotti a credere che per molti di loro vada benone una scuola così, dove il passaggio da una classe allaltra avviene con automatismo, garantito fino al conseguimento del «pezzo di carta». È stato poi svilito fino a renderlo insussistente laltro grande compito della scuola, formare il cittadino. Lo ha ricordato nella sua recente lettera ai romani Papa Ratzinger, allorché, riferendosi alla «grande emergenza educativa», invitava a trovare un giusto equilibrio tra libertà e disciplina, perché «senza regole di comportamento e di vita non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove della vita».
A questo proposito ne vuole sapere una, caro Bertolini? Qualche tempo fa mi capitò di leggere di uninsegnante denunciata - per ingiurie e per ricorso a metodi didattici brutali - dalla mamma di una delle sue alunne. Avvenne in una scuola elementare di Cantoria, nelle Valli di Lanzo, dove la maestra, avendo sorpreso una scolara a dire bugie, per punizione la mandò dietro la lavagna. Tornata a casa, la marmocchia se ne lamentò con la madre (la maestra è cattiva, ce lha con me eccetera) sicché il giorno seguente questa prese di petto linsegnante accusandola di umiliare e far soffrire la sua creatura «usando metodi hitleriani». Capito, caro Bertolini? Lordinaria, blanda, domestica sanzione messa in atto senza mai suscitar scandalo sin dai tempi della maestrina dalla penna rossa, il «dietro la lavagna», accomunata ad una pratica nazista, da Ss. Ma andiamo avanti: sbigottita, linsegnante replicò che contestando il provvedimento, oltretutto davanti allinteressata, si finiva con lincoraggiare lalunna a dire bugie. Apriti cielo: la madre, ritenendosi ingiuriata (so io come educare mia figlia eccetera), non trovò di meglio che trascinare in Tribunale linsegnante. La quale, dopo esser stata condannata in prima istanza e in Appello, è stata poi («poi» significa al termine di un procedimento giudiziario durato sei anni) assolta con formula piena dalla Cassazione. Rassegniamoci, caro Bertolini.
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