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La scure di Marrazzo sugli ambulatori

Antonella Aldrighetti

Tra posti letto da tagliare, altri da riconvertire, ospedali da chiudere perché superflui e altri ancora da affittare perché troppo costosi da ristrutturare a fare la parte del leone, nel panorama sanitario regionale, dovrebbero essere gli «ambulatori di prossimità»: fiore all’occhiello della cosiddetta medicina del territorio. Questa è la «ricetta» dell’assessore alla Sanità Augusto Battaglia che vorrebbe l’offerta sanitaria concretizzata soprattutto nei «day service» - un nome che poco ha a che fare con la disciplina medica - piuttosto che presso i nosocomi.
Ma a poche ore dall’ultimazione della stesura definitiva del piano di riorganizzazione della rete ospedaliera preparato direttamente dall’assessorato alla Sanità, un altro drastico colpo di scure si abbatte sull’offerta assistenziale: nell’Asl Roma A verranno chiusi ben tre poliambulatori. Uno nel primo distretto, uno nel terzo e un altro nel quarto, che rientrano nella competenza territoriale della Rm/A.
I presidi poliambulatoriali che chiuderanno i battenti, come si evince dal Piano strategico di riorganizzazione redatto dal general manager Carlo Saponetti, sono quello di via del Melone, in pieno centro storico, quello di via Chianti nel quartiere Italia e quello di via Lampedusa a Montesacro. Tutte e tre aree molto popolose dove i cittadini verranno gravemente penalizzati, considerando che in quei quartieri non ci sono altri presidi che vantano un’offerta ambulatoriale completa ma più presidi con alcune specialità piuttosto che altre.
Vale a dire che, a chiusura avvenuta, i servizi sanitari verranno «polverizzati» su un territorio che supera il milione di abitanti, tra i quali un buon 20 per cento ultrasessantacinquenni. Ma esaminiamo la scelta politica che avrebbe mosso il manager dell’Asl Roma A a “razionalizzare” gli ambulatori di sua competenza con un’operazione, raccolta in una sessantina di pagine, fra trattazioni discorsive e tabelle, denominata «Interventi di razionalizzazione per le sedi territoriali di attività specialistica ambulatoriale».
Uno dei primi motivi riguarda «l'importanza degli interventi di collocazione e ricollocazione degli uffici amministrativi». Ma passiamo oltre. Nel primo distretto il presidio di via del Melone verrà chiuso perché a pochi passi è attivo l’ospedale San Giacomo che può ottemperare alla medesima offerta sanitaria. Una realtà, quella del nosocomio di piazza del Popolo che però potrebbe avere le ore contate visto che è stato indicato come possibile “ospedale superfluo”.
Invece a fornire assistenza sanitaria nel terzo distretto al posto dell’ambulatorio di via Chianti ci penseranno i presidi di via dei Frentani e della circonvallazione Nomentana. Però il danno maggiore da questa serie di interventi sommari lo subiranno i cittadini del IV municipio, ai quali dopo la chiusura dell’ambulatorio di via Lampedusa (che dovrebbe essere sottoposto a una completa ristrutturazione), rimarrà solo rivolgersi al centro medico di via Rovani nell’attesa che venga realizzato un poliambulatorio a Fidene. Con questi «chiari di luna», qualche riflessione è d’obbligo perché le contraddizioni non mancano. È bizzarro pensare che il manager Saponetti non si sia adoperato per realizzare uno studio accurato sull’impatto che la chiusura di tre poliambulatori produrrebbe sulle liste d’attesa, già lunghissime, che si registrano all’Asl Roma A.

Lo studio di previsione sarebbe stato necessario, così come i progetti sperimentali per l’abbattimento delle liste d’attesa che ciascun direttore generale ha l’obbligo di adottare in virtù di un apposito atto (n.431/2006) licenziato dalla giunta Marrazzo già a luglio.

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