Cè chi non molla per problemi nostalgici, cè chi vuole restare in mezzo ai giovani, cè chi non ha gradito il metodo. Scardinare i meccanismi ben oliati del mondo accademico è difficilissimo, anche se in nome di una buona causa come il risanamento dei bilanci universitari.
Loro, i docenti a fine carriera, non se ne preoccupano. Nonostante percepiscano uno stipendio lordo di oltre 8mila euro. «Ma non cambia nulla per lo Stato - precisa Guido Sartorio, docente di sociologia alluniversità di Torino - le pensioni dei docenti sono circa il 90% dellultimo stipendio». Vero, ma non vengono pagate dalle casse degli atenei, bensì da quelli previdenziali. Insomma, i baroni si appigliano a tutto pur di non lasciare il posto. Unobiezione che viene anche questa smontata da Sartorio, che ha vinto una causa al Tar per la sua posizione di fuori ruolo. «Se un professore crede nel suo mestiere, è bravo, perché mandarlo a casa, il lavoro intellettuale non richiede energie, io non è che devo zappare il terreno, devo dirigere e studiare». E il ricambio generazionale? «Non cè nessuno dei giovani - incalza Sartorio - che vuole mandarci via. Siamo noi che valutiamo i più meritevoli, si sa che la nostra carriera viene fatta per cooptazione». E i giochi di potere, le pastette ai concorsi e così via? «Siamo tutti essere umani - aggiunge il sociologo - io non ho la pretesa che la nostra categoria sia limpida e cristallina».
Ma i giochi di potere sono quelli, in fondo, di cui i docenti hanno più nostalgia. Ogni barone in pensione, infatti, ha il diritto per due anni di far parte delle commissioni esaminatrici nei concorsi. Una vera fonte di potere, visto che si può decidere avanzamenti di carriera e assunzioni. Ma non basta. Vogliono di più. Lo conferma Giovanni Tantini, ordinario di diritto alluniversità di Verona, settantanni a novembre e quindi in pensione nel 2010. «Quando si è in pensione si è fuori dai giochi. Non si può più partecipare allassegnazione dei posti da mettere in concorso». Tantini non vuole essere equivocato: «Intendiamoci, ogni candidato sarà esaminato sulla preparazione da esperti, ma il problema sta a monte. Prima di arrivare alla commissione di esame, va bandito un concorso e vanno distribuiti dei posti da assegnare alle singole facoltà. Se noi docenti non ci siamo più chi caldeggerà le necessità nelle rispettive facoltà? Insomma, se non sei lì quando lateneo assegna i posti sei in una situazione di debolezza assoluta». Quindi «non è un desiderio di condizionare un concorso ma è solo la possibilità di partecipare alla decisione sullassegnazione dei posti da mettere a concorso». Ecco, dunque, il motivo che ha indotto Tantini a fare ricorso al Tar imitato da altri 22 colleghi su 26 in età di pensione. Le obiezioni sono infatti tante e ognuna finisce sul tavolo dei giudici amministrativi. Che non vanno tanto per il sottile. Tranne quello di Verona, tutti gli altri Tar hanno dato ragione ai docenti.
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