Gian Piero Scevola
Quella che segue è lodissea di un malcapitato milanese di fronte alla protesta, magari anche giusta, dei tassinari della capitale. Perché è bello muoversi con le macchine bianche che spadroneggiano per le vie di Roma: anche se il traffico è sconsigliabile a chi ha la pressione alta, si possono sempre gustare le bellezze artistiche della città. Sempre meglio dei palazzoni meneghini quando si resta immersi in ingorghi alla Alberto Sordi. Ma quando proprio hai bisogno di un taxi, quando uscendo dallOlimpico, dove si sta svolgendo il maxiprocesso del calcio, disperatamente cerchi un mezzo pubblico per arrivare prima sul posto di lavoro e scopri dopo unattesa spasmodica sotto il sole bollente che nessuna macchina bianca verrà mai a prenderti, ecco, allora lo sconforto ti prende e ti assale la nostalgia della precisione e della tempestività dei tassinari lumbard.
Un collega cagliaritano che, di fronte alla lunga attesa, sbotta: «Ecco gli effetti della liberalizzazione di Prodi e del traffico caotico risultato dellamministrazione Veltroni». Parole sante che non danno comunque refrigerio in una giornata hot come poche altre. Già, perché non è troppo consigliabile stare sotto il sole, allesterno della curva nord dellOlimpico per 35 minuti a chiamare con quattro cellulari (e meno male che noi dei media quanto a mezzi tecnologici abbondiamo) uno dei numeri delle tante cooperative (tante? Ma come tante?) che gestiscono il servizio delle auto pubbliche. Numeri che ho imparato a memoria (3570, 5551, 4157, 4994, 6645) nemmeno fossero quelli fortunati del superenalotto.
Vedi il caso del 3570, la più grande cooperativa europea, come mi suggeriscono amici romani. Ebbene, proprio loro, i più chiamati, sono anche quelli che più difficilmente riesco a raggiungere. Prima linterminabile «tutututututu» della linea occupata; poi, quando dopo 25 tentativi riesco a entrare, ecco una voce maschile (dati i miei gusti avrei preferito la soavità femminile), un bel nastro registrato che mi risponde testualmente: «Siete collegati con il 3570, vi preghiamo di rimanere in attesa». Resto in attesa e a farmi compagnia cè una canzonetta americana di infima specie e ancor più difficile comprensione che mi gira nei timpani e mi procura solo fastidio. Magari mi avessero fatto sentire un Bruce Springsteen o un Robbie Williams, probabilmente me ne sarei stato sotto il sole che mi cuoceva la cervice anche tutto il pomeriggio. Invece no, questo è troppo e allora, dopo 5 minuti di tormento, decido di chiudere.
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