Per valutare appieno «la scarsa dimestichezza con le aule parlamentari» rinfacciata da Fausto Bertinotti a Romano Prodi per contestarne laccusa di avere praticamente danneggiato il governo con un'applicazione «eccessivamente estensiva dei regolamenti», bisogna ricordare due incidenti gravi già intervenuti tra i due. Il primo risale allautunno scorso, quando il presidente della Camera giustamente sobbalzò sentendo Prodi dare del «matto» a chi reclamava un dibattito parlamentare sullaffare Telecom dopo le dimissioni di Marco Tronchetti Provera dal vertice dellazienda. Bertinotti si arruolò tra i matti e impose a Prodi di presentarsi alla Camera.
Laltro incidente risale al mese scorso. Esso esplose per la vicenda del sequestro del giornalista Daniele Mastrogiacomo in Afghanistan. Anche allora Prodi mostrò insofferenza contro chi sollecitava un dibattito parlamentare di fronte allambiguo e inquietante epilogo del rapimento. In particolare, era stato liberato il giornalista ma era stato sgozzato anche il suo collega e interprete afghano rapito con lui, al pari dellautista già ucciso nelle prime battute del rapimento. Eppure i sequestratori avevano ottenuto, con i buoni uffici del governo italiano, ciò che avevano chiesto: la scarcerazione di cinque guerriglieri talebani dalle prigioni afghane perché potessero tornare alle loro attività non certo umanitarie.
Per quanto soddisfatto pure lui a botta calda della liberazione di Mastrogiacomo, indicata come un successo della «diplomazia dei movimenti», Bertinotti si rese giustamente conto di non poter aiutare il governo a sottrarsi allaula, dove quindi lobbligò a presentarsi in tutta fretta. E lo stesso ha già mostrato per fortuna di voler fare per la vicenda del viceministro Vincenzo Visco, accusato quanto meno di interferenze dal comandante generale della Guardia di Finanza in una deposizione verbalizzata.
Non va infine dimenticato che lultimo incidente tra Bertinotti e Prodi, amplificato anche dal contributo che è in qualche modo arrivato dal presidente della Repubblica con le proteste contro il cattivo uso politico e regolamentare che si fa dei decreti legge, ha coinciso con una progressiva presa di distanza del partito bertinottiano della Rifondazione Comunista, e delle altre componenti della sinistra antagonista, dal governo. Cui continuano a partecipare reclamando però «cambiamenti di rotta» e «strategia».
Già sopravvissuto fortunosamente alle dimissioni di fine febbraio, il governo è già sullorlo di unaltra crisi. Che è poi la crisi di Prodinotti: quel mostriciattolo politico metà Prodi e metà Bertinotti nato dal loro accordo sostanzialmente privilegiato attorno al programma elettorale della fantomatica Unione.
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