Se Cambridge si scopre antisemita

Ben prima di fondare nel 1948 lo Stato, gli ebrei fondarono l’Università: il Politecnico di Haifa nel 1924 e nel 1925, a Gerusalemme, la Hebrew University. Ambedue, con altri atenei israeliani, oggi si trovano nell’ambito dell’eccellenza. Ma questo non importa all’accademia inglese, accecata da un’ideologia di cui sarebbe andato fiero Sdanov. Il boicottaggio contro le università israeliane dell’associazione dei docenti universitari «lecturer» (Ucu, University and College Union) è un gesto di estremismo inaudito: i distinti docenti di Cambridge, secondo il voto di mercoledì, non andranno in Israele per studi e conferenze, non riceveranno professori e studenti israeliani, cancelleranno ogni programma di collaborazione con uno dei Paesi più ricchi di idee e di premi Nobel del mondo. L’Ucu rappresenta oltre 100mila docenti. Il voto è passato con 158 voti contro 99, in un’atmosfera di guerra e trionfo, con urla e accuse sanguinose («nazisti») agli studenti e ai professori israeliani che con un cartellone pregavano, gli illusi: «Parlate con l’accademia Israeliana». Intanto su Sderot piovevano i missili kassam, un bambino paralitico colpito insieme ad altri due su un pulmino fra Sderot e Ashkelon moriva all’ospedale; si sono levate urla di gioia per la mozione, come se sui professori si librasse lo spirito, come se il senso dell’impegno per i diritti stesse tutto nell’uccidere virtualmente, mettendone al bando la cultura, l’unico Stato democratico del Medio Oriente, come se la lotta per la libertà consistesse nel passaggio libero degli uomini di Hamas dai check point, nell’impedire a Israele di combattere l’attacco terroristico che non si ferma. Come se l’impegno trovasse valore nell’escludere dalla cultura europea gli ottimi studenti e professori dell’accademia di Gerusalemme e Tel Aviv, città a suo tempo bombardate da Saddam Hussein; come se fosse una medaglia al valore segregare l’università di Haifa, bombardata dagli hezbollah nella guerra di agosto; o Beersheba, città universitaria del Negev, nella zona di Sderot, la cui gente vive nel terrore dei missili di Hamas. Questo, anche dopo che Israele ha deciso, nonostante il bombardamento continuo, di non invadere Gaza ma di limitarsi a contrattacchi ai responsabili diretti e alle strutture. Ma che importa, la realtà di Israele è virtuale, non fattuale: Israele è oppressore anche se si limita a difendersi con la mano sinistra.
E infatti in queste ore la Unison, il sindacato dei servizi pubblici del Regno Unito, sta considerando di votare nella conferenza annuale di metà giugno una proposta di boicottaggio generale a Israele. Bella impresa, unificante. La più grande federazione delle Trade Union sudafricane sta lanciando una campagna per il boicottaggio su tutti i beni israeliani e per rompere i rapporti diplomatici. Altre iniziative di boicottaggio si risvegliano in Europa, e ricordiamo che nel passato se ne sono avute anche negli atenei italiani.
Pensiamoci un attimo: i docenti inglesi, che lamentano la violazione dei diritti civili da parte israeliana, se la sono mai presa con le università cinesi, dato che in quel Paese la pena di morte falcia i dissidenti, o che la Cina opprime il Tibet? abbiamo mai sentito parlare di un boicottaggio contro l’università russa, dato che Putin ha liquidato migliaia di musulmani in Cecenia? I prof britannici hanno boicottato i siriani, che hanno soppresso le minoranze e che tengono in carcere l’opposizione? Come la mettiamo con le università di tutti i Paesi in cui le minoranze sono oppresse, torturate, incarcerate per le loro idee, in cui le donne sono segregate o picchiate, gli omosessuali soppressi, come nei territori palestinesi? Con i Paesi che opprimono le loro minoranze? Ci se la prende con un Paese dove niente di questo genere accade, i cui soldati si comportano in guerra secondo un codice morale certamente più severo, e alquanto, di quello dei soldati britannici o anche americani, che sparano solo se attaccati e per prevenire il prossimo attacco terrorista o missilistico. Perché gli accademici britannici non hanno boicottato l’Università di Nablus, An Naja, che organizzò una mostra fatta di pizza e sangue, con tanto di immagine esaltante del terrorista con maschera e cintura, sull’attentato della Pizzeria Sbarro di Gerusalemme, esplosa il 9 agosto del 2001, 15 morti, quasi tutti bambini, 130 feriti? Né è mai stata messa in mora l’università di Teheran dove i docenti e gli studenti vengono bollati da uno speciale comitato che controlla la fedeltà al regime attribuendo «stelle» che giunte a tre portano all’espulsione. Perché? Diciamolo una buona volta che si tratta dell’antisemitismo del nostro tempo, spinto avanti da una deprecabile condizione culturale in cui l’estremismo islamico più omicida è promosso a Londra, anche dal sindaco Ken Livingstone, a rango di cultura delle minoranze, in cui possono fiorire i terroristi come quelli del «tube» e degli autobus di Londonstan, in cui l’Europa perde l’anima.

Uno studente arabo israeliano, Amal Hassan Shehadeh, dell’università di Bar Ilan, a Bournemouth dove si svolgeva la discussione, ha passato tutta la notte davanti all’edificio dell’assemblea cercando di spiegare a quei grandi combattenti dei diritti civili che il boicottaggio degli israeliani avrebbe incluso anche parecchi arabi. Ma quelli erano troppo intelligenti per capire.
Fiamma Nirenstein

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