Non è certo che la politica
darà una risposta al
grande successo del Family
day, ma se dovesse tentare
di fare della famiglia italiana
il motore anche della crescita
economica del Paese,
dovrebbe risolvere l’equazione:
più donne al lavoro,
più figli per ogni donna e
più tempo di ogni madre
per l'educazione dei propri
figli. In attesa che qualcuno metta in atto soluzioni
all’estero già trovate, è evidente che il
futuro dell’economia è nelle mani delle
donne, madri e lavoratrici.
A dirlo sono i rumori in lontananza
della feroce competizione economica
in atto sui mercati internazionali dei
beni e dei servizi, dove la globalizzazione
dell'economia, la liberalizzazione
progressiva dei mercati e della circolazione
delle monete hanno
totalmente cambiato lo scenario
di riferimento ed imposto
il ripensamento profondo
dei modelli economici
europei e, soprattutto,
dei sottostanti modelli sociali.
La prova? Il dibattito accademico
e politico ha acquisito
alcuni concetti di
fondo:
1) mercati globali e più liberi
accrescono la concorrenza
fra i prodotti e servizi;
2) la concorrenza si accompagna
alla competizione
tra le determinanti dei loro
prezzi (l’innovazione tecnologica
e i sistemi politici,
fiscali e di welfare);
3) le economie esportatrici
meno competitive vanno
verso la direzione delle economie
più competitive;
4) queste ultime hanno
più elevati tassi di produttività
e partecipazione al lavoro
e sono quelle col maggior
numero di donne attive e
prolifiche.
Ciò significa che la maggiore competitività
e crescita passa per un numero
crescente di figli e donne che lavorano.
Come sta allora l’Italia da questo
punto di vista? La realtà è drammatica.
Rispetto alla media europea del
56%, le donne italiane al lavoro sono il
42,7%. Con meno donne al lavoro e
più donne in casa ci si aspetterebbero
più figli e matrimoni. Invece con 5,1
matrimoni ogni 1000 abitanti (quota
più bassa d’Europa) e un divorzio ogni
3 matrimoni (quota più alta d’Europa),
accade il contrario: in 30 anni abbiamo
perso 150mila matrimoni l’anno,
350mila nascite e 1,2 figli per donna
e da dieci anni siamo il Paese che
cresce meno in Europa.
Come agire? Il mondo del lavoro
chiede più donne e più figli.Mala competizione
non governata e l’assenza
della politica su questi temi ci spinge
in una direzione senza senso: inseguire
modelli sociali che spingono la donna
nel mondo del lavoro con alti costi
in termini di minore natalità, instabilità
della coesione familiare, minor tempo
dedicato alla formazione dei figli
dai quali dipende la crescita che si vuole
perseguire. In Italia nell’ultimo decennio
è mancata una riflessione su
questo tema e sulle possibili soluzioni.
L’occupazione femminile, benché
fra le più basse d’Europa è cresciuta
molto: dal ’93 al 2003, a fronte di
300mila uomini occupati in più, sono
state 1,3 milioni le donne occupate in
più. Di esse solo il 30% con impieghi
che conciliavano il ruolo di madri e mogli
con quello di lavoratrici (part time
e tempo determinato). Il rimanente
70% delle donne ha dovuto lavorare
come l’uomo, ma dovendo pensare a
figli e casa. Di loro (dati Istat) il 22%,
cioè oltre e un milione ed 800 mila donne,
addirittura con turni di lavoro festivo,
continuato e notturno che certo
non si conciliano con il ruolo di madri
e mogli.
La vera sfida dunque è qui. Le soluzioni
e gli strumenti sono noti. Non è
detto che debba fare tutto lo Stato.
b.costi@tin.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.