Uno dei mali maggiori di cui soffre lItalia è la scarsa mobilità sociale, ovvero la difficoltà per i più di migliorare la propria posizione nella scala del benessere, del lavoro, del prestigio. Una volta lo strumento principe per salire quella scala era lo studio: per esempio, io sono il primo laureato della mia famiglia e levento fu visto, dai miei genitori e dai miei parenti, come un grande traguardo che avrebbe cambiato per sempre i destini del ceppo familiare. Era la prima metà degli anni Settanta, e in effetti un laureato aveva buone possibilità di trovare subito un lavoro che corrispondesse ai suoi studi. Oggi viviamo in un Paese in cui tutti, o quasi, sono laureati. È un bene, certo, per quanto riguarda listruzione generale, ma la laurea non garantisce più il lavoro, e tantomeno un aumento di prestigio. Finita luniversità, occorrono master su master, in genere allestero, e pochi se li possono permettere.
Anche la promozione sociale attraverso liniziativa imprenditoriale è più difficile. Globalizzazione, Unione europea, stretta creditizia, industrie e aziende attente a coprire ogni settore del mercato: ci vuole del genio, più che la fortuna e la voglia di lavorare, per inventarsi qualcosa di nuovo e di redditizio.
E dunque? Dunque stiamo assistendo a un fenomeno curioso quanto sconfortante: il mezzo più rapido e più sicuro per «diventare qualcuno» è la televisione. Non quella fatta di pensiero e di lavoro, ma quella fatta di apparizioni eclatanti, stravaganti, se possibile urticanti.
Proprio due sere fa, da Chiambretti, mi è toccato dibattere (bisogna pur combattere il degrado) con una signorina di 19 anni che ha pubblicato un libro per offrire la propria verginità nientemeno che a Ahmadinejad.
Naturalmente il vero scopo non era pubblicare un libro, né liberarsi della presunta illibatezza, né tantomeno compiacere il poco grazioso leader iraniano. Lo scopo vero era comparire in televisione, e così entrare nella schiera degli «eletti».
La società infatti si divide ancora in ricchi e poveri, è vero, fra chi sta bene e chi sta male. Ma ormai cè unaltra distinzione di classe, quella fra chi va in televisione e chi no. Perché se vai in televisione sei qualcuno, se non ci vai sei nessuno: addirittura, la fama televisiva si riverbera persino sui figli, i figli di uno che va in televisione. Per chi fa anche altre cose può essere irritante. (Hai scritto libri, fatto studi importanti? Non conta. Conta, per i più, «Ieri lho vista in televisione! La seguo sempre, sa?»). Immagino che la prevalenza della faccia televisiva sia ancora più irritante per chi lavora duramente tutto il giorno, senza mai apparire alle luci della ribalta.
Eppure è così. Le file sterminate per le selezioni a concorsi di veline, grandifratelli e isoledeifamosi sono lì a dimostrare che i giovani hanno capito, o deciso, che la strada più facile e più comoda per affermarsi nel mondo è apparire in tv. In qualsiasi modo, a qualsiasi costo, rappresentando qualunque parte, accettando qualsiasi compromesso pur di tentare la carta decisiva.
Assicurando visibilità immediata e quasi universale, la televisione garantisce una fama che nei piccoli paesi può durare anni e anni. Se poi qualcuno ha una sia pur minima dote di charme o di eccesso/distorsione caratteriale, è fatta. Può sperare in altre comparsate, in altre trasmissioni, fino addirittura a diventare famoso in permanenza (vedi Taricone) e quindi ricco.
Lesca è dunque ghiotta, ghiottissima. E mi verrebbe difficile farne una colpa ai ragazzi che tentano la scorciatoia: meglio di altre scorciatoie che sempre si sono prese, dal matrimonio dinteresse alla scelta malavitosa.
Né voglio dare la colpa alla società, che è unaltra scorciatoia per liquidare i problemi senza risolverli. Basti sapere, e essere coscienti, che quando accendiamo la tv su uno di quei programmi, facciamo il gioco di quei ragazzi, poveretti, che per essere devono apparire.
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