Caro direttore, scusa se ti disturbo per un fatto
personale, ma proprio non mi sento un reperto d'antiquariato, come m’ha
definito ieri Curzio Maltese su Repubblica ,
insieme alle altre 5mila persone che lavorano a Mediaset. Ti scrivo
qui, dal mio ufficio a Milano Due, dove la Tv di Berlusconi è nata tanti
anni fa, e se oggi mi guardo attorno vedo ragazzi impegnati a imparare nuove tecnologie,
operatori che s’addestrano sul multimediale, tecnici che s'industriano
a connettere il know how televisivo con i new media . Vedo
pay Tv , Net Tv , nuovi canali digitali, app per tablet e
smartphone .
L'unica cosa che non vedo è la scritta «The End», quella che andrebbe
in onda a schermi unificati sulle nostre reti.
Almeno così dice
Maltese, che anche questa volta, però, deve aver sbagliato film.
Magari non gli è piaciuta l'ultima puntata dei Simpson, magari non ha
apprezzato il finale di Tempesta d’Amore su
Retequattro. Capita, che ci volete fare? Magari ha solo digerito
male la peperonata o aveva un disturbo al suo Samsung. Però, ecco, mai
si era vista una liquidazione sommaria di un'intera televisione basata
su un puro pregiudizio politico: Mediaset è stata fondata da Berlusconi
e dunque con Berlusconi va affondata. Non importa che cos’è l'azienda,
chi ci lavora, che cosa fa, il fatto che sia quotata in Borsa e che
operi in altri Paesi europei: contano il suo Dna, i cromosomi del suo
sangue infettati per sempre ad Arcore, la tara ereditaria. E perciò
deve pagare, dev’essere travolta, eliminata, rasa al suolo, dai piani
alti all'ultimo cameraman, da Paperissima Sprint alle Apemaia ( ore 8.36 su Italia Uno, lo diciamo per Curzio Maltese).
È quasi una forma di razzismo mediatico, un
metodo un po' squadristico e assolutamente discriminatorio, che offusca
la vista e obnubila il pensiero, già messo a dura prova dalla
peperonata: si dice che le aziende di Berlusconi sono «il parastato »
quando fra Rai, Sky, La7, Google etc non c’è mai stata tanta concorrenza
nel mondo dei media; si dice che il pubblico giovane abbia abbandonato
le reti Mediaset quando le reti Mediaset hanno la leadership assoluta
del pubblico giovane (il 45,4% di quello tra i 15 e i 34 anni contro
il 28,1% della Rai); si dice che la crescita pubblicitaria sia dovuta
alla presenza del Cavaliere a Palazzo Chigi quando la crescita
pubblicitaria di Mediaset è stata costante, con tutti i governi, da
Prodi ad Amato, da Dini a D’Alema, ed è dovuta alla straordinaria
abilità dei manager di Publitalia che il mercato lo conoscono davvero. Eccome. A differenza di Curzio Maltese, che sul mercato al massimo può
andarci per comprare le albicocche.
Ma a Repubblica
è mai importato qualcosa della realtà dei fatti? Diciamocelo: il
vero partito-azienda sono loro. Assai più partito che azienda, per la
verità. E pensano che tutto il mondo debba comportarsi come fanno nel
Politburo di De Benedetti, ragionando per comitati politici e purghe
verso i gulag scalfariani. Così non ce la fanno a capire che possa
esistere un’impresa che pensa a fare l’impresa, che guarda con rispetto
ai suoi telespettatori (tutti: di destra e di sinistra) e ai suoi
azionisti (tutti: di destra e di sinistra), che produce e dà lavoro a
5mila persone, che investe e cresce sui mercati internazionali
(Spagna), e che anziché perdersi dentro logiche di palazzo sfida la
rivoluzione tecnologica investendo sul digitale, sulla Net Tv e sui
new media, portando avanti progetti coraggiosi e rischiando sempre in
proprio. Non ce la fanno, non è mica colpa loro: dev’essere un difetto
di fabbrica. Appena fiutano Berlusconi, impazziscono. E colpiscono a
morte tutto ciò che lo riguarda. Curzio Maltese, per dire, col prossimo
articolo potrebbe chiedere che, in seguito all'eventuale caduta del
Cavaliere, Palazzo Grazioli venga raso al suolo e i colori rossoneri
vietati negli stadi italiani.
Con la stessa leggerezza l'editorialista di Repubblica liquida in blocco tutti i conduttori di Mediaset come «vecchie glorie o risaputi lacchè», definisce Striscia
come «finta satira» e paragona i tg a «quelli democristiani d'antan»
(ma come? Fino a ieri non li criticavano per essere troppo leggeri?
Per dedicare spazio all’orsetto lavatore e alla fiera della calza a
rete? E nei tg democristiani c’erano orsetti e calze a rete?).
La critica acuta e puntuale si conclude con una
sentenza irrorata di malcelata speranza: «Basta passare qualche ora
sulle reti Mediaset per guardare in faccia la fine del berlusconismo
». Per l'amor del cielo, ognuno nel piccolo schermo può vedere cosa
vuole. Ma è sicuro Maltese, peperonata a parte, di non aver sbagliato
canale? Non è, per caso, che pensava di guardare Retequattro e invece
era sul Tg3?
Vedi, caro direttore, sono undici anni che lavoro
qui. E ti posso garantire che non ho mai visto venire meno l'attenzione
al nuovo, agli investimenti, alle energie dedicate a cercare di capire
come cambia il mondo. Le difficoltà sono tante, gli ostacoli pure,
persino gli errori. Ma se Curzio Maltese si togliesse i paraocchi e
venisse qui, nella mia stanza a Milano 2, in questo momento, vedrebbe
un gruppo di ragazzi impegnati a coniugare Internet e Tv, giovani
tecnici che cercano soluzioni nuove per l'informazione tradizionale e
quella sul web. E lo stesso troverebbe a Cologno, al centro Palatino di
Roma, nelle sedi sparse per l'Italia, da Torino a Palermo, dove ogni
giorno siamo abituati a misurarci, a discutere, magari a litigare, ma
sempre a giudicare gli uomini per quello che fanno e che valgono, non
per il Dna, per l'origine genetica o per le convinzioni politiche.
E allora ti posso confidare una cosa? Dopo aver letto Repubblica ,
sono ancora più orgoglioso dell’azienda in cui lavoro. E sono convinto
che quella Modernità e Libertà di cui parla Maltese facciano talmente
parte del nostro modo di essere che sapremo interpretarli sempre,
prima e dopo Internet, con o senza Berlusconi al governo.
Chissà se
questo sarà vero anche per chi ha costruito il vecchio e polveroso
partito-azienda dell' odio. O chissà, invece, se la rivoluzione dei
media e della politica non finirà per segnare il «The End» proprio per
loro.
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