Se il «mattatore» diventa materia di spettacolo

Giancarlo Zanetti porta in scena il celebre testo di Raymund Fitzsimons ispirato al celebre attore Edmund Kean

Di lui Coleridge disse che «vederlo recitare era come leggere Shakespeare circondati dai bagliori dei fulmini». Fulminee furono d’altronde sia la sua vita (durata appena 46 anni e attraversata da profonde inquietudini) sia la sua istrionica carriera d’attore, votata quasi esclusivamente a interpretare i personaggi tragici del Bardo. Motivo per cui Edmund Kean (attore londinese morto nel 1833, celebre al pari di altri due mostri sacri del teatro britannico sette e ottocentesco quali John Philipp Kemble e David Garrick) è da sempre una figura che affascina e irretisce. Amante dell’alcol, delle droghe e delle donne, Kean consumò tutto con famelica bramosia, ma era semplicemente sublime nei panni di Riccardo III, di Shylock o di Otello, perché sapeva entrare nelle pieghe intime dei suoi personaggi con quella passionalità viscerale che ne fece l’attore simbolo del Romanticismo inglese. Tanto da divenire egli stesso personaggio di svariate opere teatrali, tra cui il celebre monologo Edmund Kean. Genio e sregolatezza di Raymund Fitzsimons, che torna sulle nostre scene (ricordiamo almeno i precedenti di Gassman e di Proietti) in un allestimento diretto e interpretato da Giancarlo Zanetti dove realtà e finzione, vita e professione inevitabilmente si fondono e confondono. La struttura stessa del testo prevede infatti che al Kean ubriaco, cupo, ambizioso, irascibile, misantropo, tormentato e irrefrenabile del dietro le quinte si contrappongano la forza e l’intensa vitalità dei ruoli drammatici da lui interpretati. Ecco dunque un continuo sdoppiamento di piani narrativi e un continuo passaggio di tensioni emotive: movimenti espressivi cui l’attore si concede con generosità, coadiuvato dalle musiche di Ottavio Sbragia (eseguite dal vivo da Juliane Reiss) e sorretto da un maturo senso della scena. Zanetti si trova a ricapitolare tutti i sentimenti contrastanti dell’animo umano e, al contempo, a dover farsene carico attraverso l’universo poetico di Shakespeare. Egli recita dunque Kean e insieme recita Kean nei panni di Coriolano, Re Lear, Riccardo III. Trovando nell’addio di Otello («Addio per sempre, pace dell’anima mia, addio felicità del cuore!»), ripetuto più volte all’interno del monologo, una sorta di amaro atto di resa alla drammaticità e all’impetuosità stessa dell’esistenza umana.

Mai tanto vicina al teatro da smarrire e far smarrire ogni confine possibile tra scena e platea. Mai tanto vibrante da cancellare ogni illusoria certezza che recitare sia poi così differente dal vivere. Al teatro Vittoria fino al 19 febbraio.

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