Se il multiculturalismo genera nuovi mostri (e dirlo non è un reato)

La strage di Oslo è la prova che è impossibile garantire diritti e libertà a chi non rispetta né regole né doveri

Se il multiculturalismo 
genera nuovi mostri 
(e dirlo non è un reato)

Sembra proprio che in Ita­lia siamo prossimi all’in­troduzione del reato di of­fesa al multiculturali­smo. Prima che qualche magistrato ideologica­mente orientato ( purtrop­po in Italia non mancano) arrivi a con­dannare me o altri intellettuali per apolo­gia di razzismo o addirittura di terrori­smo, facendo leva su un reato che si ac­crediterebbe per la prima volta, di offesa al multiculturalismo o all’islam, ritengo sia opportuno chiarire la differenza so­stanziale tra la dimensione dell’ideolo­gia o della religione da quella delle perso­ne, nel caso specifico tra multiculturali­smo e multiculturalità, nonché tra islam e musulmani.

Dopo la pubblicazione del mio com­mento sul Giornale dal titolo «La strage in Norvegia: il razzismo è l’altra faccia del multiculturalismo», pubblica­to lo scorso 24 luglio, ho ricevu­to una valanga di accese criti­che e anche qualche violenta mi­naccia. Data la mia condizione di sicurezza assai critica che mi costringe da oltre otto anni a vi­vere con la scorta di primo livel­lo eccezionale, ho dovuto de­nunciare alle competenti autori­tà i messaggi che incitavano apertamente ad odiarmi, a di­sprezzarmi, a radiarmi dalla so­cietà civile, qualificandomi co­me talebano, razzista, fascista, nazista, sentenziando la mia condanna all’ergastolo sbatten­domi in galera e lanciando la chiave nell’oceano, perché sa­rei il peggior nemico dell’Italia e dell’Europa, il sommo tradito­re di tutto, degli arabi e dei mu­sulmani, ma anche degli italia­ni e dei cristiani, un rinnegato che immeritatamente è riuscito a spac­ciarsi per giornali­sta e poi per politi­co, ma che in re­altà è so­lo un ignoran­te e un fa­natico.

Mi do­mando se i miei critici, denigra­tori e implacabili giustizieri si si­ano presi la briga di leggere il mio commento prima di inflig­germi la pena capitale senza possibilità d’appello. Come hanno potuto tralasciare la mia ferma condanna delle stragi di Oslo e di Utoya, ripetute all’ini­zio e alla fine del commento, chiarendo che non possono es­sere in alcun modo giustificate e che non si può accordare alcu­na attenuante a chi attenta alla sacralità della vita di tutti, a pre­scindere dall’etnia, dalla fede, dall’ideologia e dalla cultura? Probabilmente non sanno che proprio per la mia strenua dife­sa della sacralità della vita di tut­ti che è iniziato il mio calvario ol­tre 8 anni fa, quando da musul­mano moderato e laico sostenni pubblicamente il diritto di Israe­l­e a esiste­re come Stato del popolo ebraico, condan­n ando aperta­ mente il terrori­ smo isla­mico che, do­po aver legittimato il massacro degli israeliani e degli ebrei, si è scate­nato contro i cristiani e infine contro tutti i musulmani che non si sottomettono al suo arbi­trio.

Quando nel 2003 fui per la pri­ma volta condannato a morte da Hamas proprio per la mia pubblica denuncia del terrori­smo suicida islamico che miete­va vittime tra i civili israeliani, pagando sulla mia pelle la limi­tazione alla mia libertà persona­le, ho compreso la necessità di distinguere tra la dimensione della religione e la dimensione delle persone. Presi atto del fat­to che i musulmani come perso­ne possono essere moderati, ma che l’islam come religione non è moderato. I fatti oggi con­fermano che sono gli stessi mu­sulmani la gran parte delle vitti­me del terrorismo islamico che si ispira esplicitamente ai verset­ti coranici che istigano all’odio, alla violenza e alla morte contro gli ebrei, i cristiani, gli infedeli, gli apostati, gli atei, le adultere e gli omosessuali. Così come si fonda sul comportamento di Maometto che ha ucciso i «nemi­ci dell’islam» fino a commettere l’orrore di partecipare di perso­n­a allo sgozzamento e alla deca­pitazione di circa 800 ebrei del­la tribù dei Banu Quraisha nel 628 alle porte di Medina.

Il ragionamento simile l’ho maturato nei confronti del mul­ticulturalismo dopo l’atroce sgozzamento di Theo Van Gogh il 2 novembre 2004 da parte di un giovane terrorista islamico olandese di origine marocchina nel centro di Amsterdam e dopo la strage perpetrata da quattro giovani terroristi suicidi britan­nici di origine pachistana nel centro di Londra il 7 luglio 2005. Da allora hanno preso le distan­ze o pubblicamente denunciato il multiculturalismo capi di sta­to e di governo europei di sini­stra e di destra, da Tony Blair a David Cameron, da Nicolas Sarkozy a Angela Merkel, da Sil­vio Berlusconi a Anders Fogh Ra­smussen. Ebbene se io oggi con­danno apertamente il multicul­turalismo e come reazione ven­go accusato di essere razzista, fa­scista, ecc. dovremmo estende­re la medesima accusa a questi capi di Stato e di governo?

A questo punto dobbiamo chiarire la distinzione fonda­mentale tra il multiculturali­smo e la multiculturalità. La multiculturalità è la fotografia della realtà inoppugnabile che ci fa toccare con mano il fatto che ormai in qualsiasi angolo della terra convivono persone provenienti da Paesi diversi, con fedi, culture e lingue diver­se. Personalmente considero di per sé la multiculturalità come una realtà positiva, una risorsa che può tradursi in arricchimen­to e crescita per l’insieme della società e, su scala più ampia, per l’insieme dell’umanità. La multiculturalità è l’estensione, nel nostro mondo globalizzato, della realtà dell’emigrazione che è connaturata alla vita stes­sa, avendo da sempre l’uomo ri­cercato altrove migliori condi­zioni di sussistenza.

Il multiculturalismo invece è tutt’altro dalla multi­culturali­tà. Mentre la multicul­turalità è un dato che concer­ne gli «al­tri», il mul­ti­culturali­smo è un dato che concerne il «noi». Il multiculturalismo è un’ideologia che immagina di poter governare la pluralità etni­ca, confessionale, culturale, giu­ridica e linguistica senza un co­mune collante valoriale e identi­tario, limitandosi sostanzial­mente a elargire a piene mani di­ritti e libertà a tutti indistinta­mente senza richiedere in cam­bio l’ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole. Il multiculturalismo laddove viene pra­ticato, principalmente in Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Nor­vegia, Danimarca, Belgio, Ger­mania, ha finito per disgregare anche fisicamente la società al suo interno con la presenza di quartieri-ghetto abitati quasi esclusivamente dagli immigra­ti, ha accreditato l’immagine di nazioni alla stregua di «terre di nessuno» alimentando l’appeti­to di chi ci guarda come se fossi­mo «terre di conquista».

Ora spero proprio che sia chia­ro il mio pensiero: se io, legitti­mamente, confortato anche dal­la posizione espressa da capi di Stato e di governo europei in ca­rica, denuncio il multiculturali­smo, ciò non significa in alcun modo né che io sia contrario alla multiculturalità intesa come convivenza con persone di et­nie, fedi, culture e lingue diver­se e, meno che mai, che io nutra un pregiudizio razziale o religio­so nei confronti delle persone. Come potrei mai proprio io, che sono di origine egiziana e che so­no stato musulmano per 56 an­ni, avere sentimenti ostili nei confronti dei miei ex­c­onnazio­nali e dei miei ex­correligio­nari?

Tuttavia, al pari di Gesù e di Gandhi, che disse­ro di amare il peccato­re, ma di odiare il peccato, io ri­vendico il diritto di poter affer­mare pubblicamente e legitti­mamente sia il mio amore per gli immigrati e per i musulmani come persone sia la mia condan­na del

multiculturalismo come ideologia e dell’islam come reli­gione. È ancora lecito in Italia e in Europa affermare la verità in libertà? Possiamo ancora atte­nerci all’esortazione evangeli­ca: «Sia il vostro parlare sì sì, no no»?

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