Se Veltroni oggi perde Roma, perderà probabilmente anche la testa. E sarà un guaio perché un altro leader il Pd non ce lha. Ma se non perdesse Roma, cioè se vincesse Rutelli, il guaio sarebbe una catastrofe per Roma e dunque a conti fatti, meglio che muoia questo fragilissimo Sansone con tutti i suoi ancor più fragili filistei. Su Veltroni abbiamo scherzato tante volte e io gli ho espresso qui una simpatia personale che è sincera: come politico è, per dirlo alla romana, «un sòla» perché scopiazza da tutti, don Milani, Bob Kennedy, Obama, sotto a chi tocca; come sindaco se paragonato ai sindaci delle grandi capitali europee è da mettersi a piangere, però, come dire, è simpatico, è fanciullesco.
Federico Fellini un giorno a Piazza del Popolo mi disse che Veltroni gli sembrava il compagno di liceo buono della foto di classe, quello con cui hai fatto la gita scolastica a Firenze. Una volta andavo a certe sue riunioni mattutine al cinema Mignon dove infliggeva tremendi film con «seguirà dibbattito», tutti volti a promuovere lui, ancora con i capelli lunghetti. Giocava a fare il comunista furbo che non ci ha mai creduto davvero, che è sempre stato dalla parte dellAmerica ma di unAmerica rifritta alle Frattocchie e che si chiama laltra-America. Con lui tirava sempre unaria da album delle figurine, fumetti, vintage, remake, riciclaggio di cultura, e in tutto quel ciàpa-ciàpa ogni tanto qualcosa di gradevole ci finiva, nulla di fondamentale, ma di decorativo spesso sì. Su quello lui ha fondato unimmagine e su quellimmagine lui ha firmato il patto col diavolo Berlusconi.
Berlusconi gli ha detto: senti carino, tu hai il faccino pulito, ti metti lì, fai un partito alla Tony Blair, io ti riconosco, tu mi riconosci, io taglio i cespugli miei, tu tagli i cespugli tuoi, io vinco, tu perdi, ma alla fine della giostra ti ritrovi un giocattolino niente male che si chiama partito democratico, lontano da falci martelli e altri attrezzi della bella fattoria, ti alleni per cinque anni e poi se ci sai fare competi probabilmente col mio successore e forse ce la fai. Però devi pedalare se no il gelato ti si squaglia e resti col cono in mano. Walter parte con la campagna del pulmino e dei pranzi a sbafo, sondaggi in livrea e telegiornali alla Riotta in polpe e tricorno, si fa venire delle idee: qui, pensa alla fine di marzo, posso addirittura farcela. Nel loft, un postaccio veramente loffio, già gli facevano la forca: «A Vàrtere, guarda che si perdi er Lazio e si vai sotto er trentacinque, nun è che torni a casa co la testa su le spalle. E poi, a moré, sta attento a Roma, ché Roma è na cosa seria. Vàrtere, ce pare che la stai a pijà troppo sotto gamba». Vartere allarmato chiamava Berlusconi e gli chiedeva: come vado? E Berlusconi: «Dottor Veltroni, lei va come un treno».
I sondaggi che gli portavano parlavano di testa a testa. Il Lazio era saldamente in mano democratica, Roma poi non ne parliamo. Veltroni sudava, ma di speranza. La speranza era che il Pdl vincesse sì, ma di misura, con un Senato in sofferenza, il Lazio solidamente in mano sua, le regioni tradizionali stabili con non più di una perdita o due. Invece fu lo tsunami. La botta arrivò quando la montatura degli exit poll finti fu sovrastata dalle schede vere e si capì che quel che Berlusconi aveva sempre detto, un gap intorno al 10 per cento, era perfettamente vero. Il Pdl incassava carte primiera ori settebello e quattro scope. Restavano i sindaci. Roma prima di tutto. Il Lazio era perso al Senato, e il Senato era andato di grasso per Berlusconi e la Lega. Veltroni gorgogliava sotto il livello di guardia. Per la prima volta i sondaggi cominciarono a traballare per il candidato Rutelli, detto a volte ritornano, ma a volte non tornano più. Ventate di gelo nel loft. Francesco potrebbe soccombere sotto Alemanno contro il quale al Manifesto e allUnità hanno cominciato a fare riti woodoo.
Paolo Guzzanti
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