Il regime fascista cercò di realizzare tre grandi trasformazioni nella società e nel carattere stesso degli italiani: farne un popolo guerriero, dargli un alto senso dello Stato e la consapevolezza del proprio essere italiani-fascisti e della propria missione nel mondo. I primi due obiettivi fallirono clamorosamente, e del resto è impossibile operare simili trasformazioni - su un carattere nazionale formato nei secoli - in appena due decenni. Ebbe maggiore successo il terzo tentativo di cambiamento, perché litaliano si sentì per la prima volta popolo, e orgoglioso di esserlo, proprio durante il regime: il quale lo stimolava in ogni modo e ogni giorno in questa direzione. Gli italiani accettavano del regime quel che piaceva loro; facevano mostra di ortodossia ma rifiutavano intimamente le sollecitazioni a una reale trasformazione della società.
Furono benvenute, dunque, le grandi e benefiche novità nellassistenza e nei servizi pubblici: colonie e vaccinazioni per i bambini, maggiore scolarizzazione, e le organizzazioni dopolavoristiche che offrivano una quantità di svaghi anche slegati dalla politica. Persino le rituali adunate di massa e le attività paramilitari del «sabato fascista» non erano sgradite. Del resto, la grande maggioranza degli italiani - ovvero 27.376.571 nel 1942 - erano iscritti a una delle innumerevoli organizzazioni facenti capo allonnipresente Pnf.
In complesso, nellItalia del Ventennio non si viveva male, specialmente rispetto a «prima», e tenendo conto che il popolo non sentiva granché lurgenza della Libertà e si accontentava delle libertà che riusciva con facilità a ricavarsi fra le petulanti regole politico-pedagogiche del regime. Pochi guadagnavano le sospirate «mille lire al mese», uno stipendio già quasi dirigenziale nel 1935, mentre quello di un operaio specializzato si aggirava fra le 300 e le 400 lire, abbastanza per vivere con decoro. A partire dagli anni Trenta il grande divertimento di massa fu il cinema, di cui il regime aveva capito le potenzialità propagandistiche. Era di gran moda anche lo «svago» radiofonico, con una particolare predilezione per la musica e per gli ««sceneggiati radiofonici» trasmessi dall'Eiar. In compenso la produzione di libri raggiunse, negli anni Trenta, quantità mai raggiunte prima e che sarebbero state superate solo negli anni Sessanta.
Maschilista e misogino, il fascismo volle anche definire il tipo di donna ideale. Per la prima volta, in Italia, assegnò alle donne un ruolo ufficiale, con una politica ragionata - familiare, demografica, di comunicazione specifica - moderna e innovativa, ma lasciandole comunque in stato di inferiorità: il regime fascista fu «virile» per eccellenza, dunque maschile e maschilista, come del resto quasi tutte le società dell'epoca. Mussolini nel 1932, nel libro-intervista di Emil Ludwig, ribadì: «La donna deve obbedire». Il Duce forniva il modello della virilità fascista e, soprattutto fra i gerarchetti, il mussoliniano «molti nemici molto onore» diventò «molte donne molto onore». Allitalico maschio piacque molto il modello di moglie casta e operosa indicato dal regime e ancora più volentieri incrementò gli affari dei bordelli incaricati di dare sfogo alle concupiscenze, nel rispetto della famiglia.
Il modello di madre e moglie italiana e fascista fu essenziale sia nella «battaglia demografica» sia in quella autarchica. «Tutti gli organi del partito funzionano - ammoniva Achille Starace, segretario del partito dal 1931 al 1939 - devono perciò funzionare anche gli organi genitali». Chi si sposava entro i 25 anni, otteneva premi e prestiti a interesse bassissimo.
Furono guai, invece, per gli scapoli, sempre ultimi nelle graduatorie di lavoro e obbligati a pagare una tassa sul celibato.
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