Se il sangue fluido è un rischio: troppi anticoagulanti fai-da-te

Se il sangue fluido è un rischio: troppi anticoagulanti fai-da-te

Poco controllo, rischio aumentato. Ictus ed emorragie sono in agguato per troppi pazienti poco inclini a monitorarsi e/o a trascurare la terapia anticoagulante orale. In Italia sono 912 mila le persone in cura con farmaci anticoagulanti orali (l'1,55% della popolazione generale) a seguito principalmente di fibrillazione atriale (aritmia cardiaca che colpisce il 5% degli italiani dopo i 60 anni) o trombosi venosa profonda. Di queste persone, appena il 25% è regolarmente seguito da un centro specialistico (278 in Italia), mentre del resto si sa poco. «Il rischio di una cattiva adesione alla terapia è molto forte - spiega il professor Francesco Marongiu, ordinario di Medicina interna alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell'università di Cagliari - e da letteratura internazionale sappiamo che solo una minoranza delle vittime di ictus ischemico con precedente fibrillazione atriale, è stata adeguatamente trattata».
Il professore accenna al noto fenomeno dell'abbandono delle terapie orali che, sommando tutte le patologie, raggiunge il 50% dei casi. «La gente si stufa - spiega Marongiu - soprattutto quando il numero di farmaci presi dal singolo paziente è elevato: una o più compresse vengono omesse o dimenticate. Peraltro, nel caso specifico della fibrillazione atriale, la persona che non ha ancora subito un ictus, crede di stare bene. Non avendo sperimentato un evento, fa fatica a capire che sta facendo qualcosa per prevenirlo». Logica e regole cliniche impongono invece un attento monitoraggio con un test che si chiama INR, acronimo inglese di Rapporto internazionale normalizzato. Tale sistema, regola il livello di anticoagulazione nei pazienti che assumono farmaci. Nel soggetto normale l'INR ha un valore di circa 1, in quello “anticoagulato” deve essere mantenuto tra 2 e 3. Questa valutazione può essere ottenuta o in laboratorio oppure dallo stesso paziente con un coagulometro portatile, grande più o meno come un telefonino. Il sistema si basa su un prelievo di sangue capillare con una lancetta e sull'analisi con striscia reattiva. È possibile anche inviare i propri dati via modem al medico, facilitando anche eventuali aggiustamenti nel dosaggio dei farmaci (i più usati sono il warfarin e l'acenocumarolo, ma altre molecole, che non avranno bisogno del classico monitoraggio di laboratorio, s'affacciano ormai sul mercato), limitando i rischi degli eventi avversi indotti dai medesimi medicinali, quali emorragie fatali (riguardano lo 0,3-0,5% dei pazienti trattati) o emorragie maggiori (1-2%), ovvero quelle che richiedono almeno due unità di sangue trasfuso per salvare la vita di una persona. Proprio il centro di Cagliari diretto dal professor Marongiu, grazie ai coagulometri portatili, Coaguchek dell'azienda Roche, riesce a seguire a distanza 130 pazienti su oltre un migliaio di pazienti in cura.


In Italia l'assistenza a questo tipo di pazienti comincia a organizzarsi nel 1989 con la nascita della Federazione Centri e Sorveglianza Anticoagulati (FCSA) di cui Marongiu è presidente. L'ente, nel 2005, pur mantenendo la sigla, si è trasformato in Federazione Centri per la Diagnosi della trombosi e la Sorveglianza delle terapie antitrombotiche.

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